L’ascolto in ambito corale

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L’ascolto in ambito corale

Redazione

Un altro bellissimo viaggio dentro al suono. Questa volta dalla parte dell’orecchio, dell’ascolto e dell’ascolto del silenzio. Anna Seggi non scrive semplici considerazioni, la sua è filosofia del suono e lirica del proprio sentire, scienza e poesia di una musicista.

L’esperienza del canto corale, ingiustamente ritenuta talvolta musica di serie “B”, è una fantastica, insostituibile occasione di crescita musicale e umana che offre l’opportunità preziosa di accendere ed educare l’orecchio, e lo fa oltretutto in maniera divertente e creativa. Nel canto corale l’organo dell’udito è messo finalmente al primo posto rispetto agli altri, con enormi e positive ricadute nella vita reale di ciascuno: la sensibilità, la percezione di sé e degli altri, il senso di orientamento e di equilibrio si fanno più acuti e funzionali, cresce il benessere psico-fisico non solo per effetto del suono ma anche perché ci si sente parte di un tutto concorde.

“Le ricerche hanno dimostrato che le relazioni sintonizzate promuovono resilienza e longevità. Nella relazione terapeutica accelerano il processo di guarigione e di attivazione di nuove opportunità per il paziente; nella pratica formativa facilitano l’apprendimento. La sintonizzazione porta il cervello a crescere in modi che promuovono un’autoregolazione bilanciata per mezzo del processo di integrazione neurale.” (“Mente, cervello e respiro” di M. Cavallo e A. Zanardi Cappon).

L’orecchio Maestro di vita e di relazioni

Io parlo da musicista naturalmente, al di fuori di un contesto di natura medico-scientifico, però mi sentirei di definire l’orecchio “Maestro di vita e di relazioni”, una guida speciale che in un modo o nell’altro contraddistingue tutti i musicisti e coloro che si dedicano con convinzione alla musica.

La mia lunga esperienza musicale mi ha portato, grazie all’orecchio, a sviluppare una sorta di capacità di “lettura” del suono che va anche oltre i consueti parametri acustici e mi permette di penetrare nella realtà più intima della musica. Il suono mi “parla” ben al di là delle parole che esprime o del contenuto musicale che utilizza, mi informa sulla qualità della relazione fra quel corpo vivente e quel suono, vocale o strumentale, e sulle intenzioni che hanno mosso quel gesto… in fin dei conti mi permette di “consuonare”.

RIFLESSIONE SUL SENSO DELL’UDITO

L’orecchio organo esigente

L’orecchio è l’organo di senso più esigente, lento e complesso nella rielaborazione, forse è per questo che è così poco valorizzato nel nostro tempo, tutto proteso com’è verso l’immagine, la velocità, l’impermanenza, verso un consumismo “mordi e fuggi” che non risparmia neanche ambiti culturali o personali. È ovvio che la logica del profitto rapido prediliga atteggiamenti che evitino lo “stare”, l’interiorizzazione dell’esperienza, la lentezza della coscienza e dell’ascolto.

Nella nostra vita siamo quasi sempre immersi nel suono e nella musica: difficilmente possiamo sfuggire al “sottofondo” rumoroso che invade le nostre città, al richiamo delle pubblicità, delle sigle televisive, degli annunci… al punto che “non li sentiamo più”, passano in secondo, terzo piano rispetto al contenuto visivo. L’orecchio dell’uomo si spenge un po’ per autodifesa, un po’ per assuefazione e così, di generazione in generazione, perde progressivamente non solo una generica capacità di udito, ma soprattutto la capacità di porre vera attenzione al suono e di dargli un significato importante. Gli antichi Greci sentivano, apprezzavano e utilizzavano i “quarti di tono”, per noi anche un semitono spesso è indistinguibile o appare alquanto offuscato; gli intervalli più piccoli ci creano problemi di intonazione (per intervallo si intende la distanza fra un suono e un altro), la memoria uditiva “arranca” perché i riferimenti sono sempre più sbiaditi; ascoltiamo musica ad alto volume e così perdiamo la percezione e il valore espressivo delle dinamiche più leggere. Anche il diapason (strumento che serve ad intonare tutti gli strumenti dell’orchestra sulla stessa frequenza di una nota) tende ad innalzarsi progressivamente, “spingendo” il suono verso l’acuto e verso una maggior forza del suono: sembrerebbe che l’uomo moderno possa apprezzare solo i suoni molto forti, perdendo tutto il resto, perdendo addirittura il silenzio, vera culla del suono, della musica e del pensiero. Il canto corale appare oggi una delle poche opportunità di “cura” e valorizzazione dell’orecchio, che finalmente non deve difendersi ma anzi viene continuamente sollecitato per regolare l’emissione della voce cantata.

 “Se il canto non serve a farmi pregare, è meglio che i cantori tacciano. Se il canto non ha la funzione di placare la mia inquietudine interiore, i cantori se ne possono andare. Se il canto non ha il valore del silenzio che ha interrotto, mi si restituisca il silenzio. Ogni canto che non ha la funzione di promuovere il silenzio è vano” (Joseph Samson, maestro di cappella del duomo di Digione dal 1930 al 1957).

“I poeti fecero bene a unire la musica e la medicina in Apollo perché il compito della medicina non è altro che quello di intonare quella strana arpa che è il corpo umano e riportarla all’armonia… E’ la musica un organismo vivente, per quanto sfuggente ed indecifrabile: se sentiamo l’altro come musica, allora egli diventa per noi una realtà, un valore affettivo, e quindi un obbligo morale” (F.Bacon “The Advancement of Learning).

L’orecchio ordinatore profondo del corpo

Pioniere dello studio scientifico sulle relazioni fra orecchio e cervello, e di conseguenza fra orecchio e voce, è stato Alfred Tomatis, cantante e medico otorinolaringoiatra (Nizza nel 1920 – Carcassonne 2001). Egli ha indicato una strada interessantissima e innovatrice riguardo all’orecchio, passato da semplice recettore passivo della realtà esterna a vero ordinatore del complesso sistema voce-equilibrio. Non solo, le sue osservazioni, riguardo la postura corporea “determinata” da quella dell’orecchio in ascolto e sulla qualità delle vibrazioni della voce in grado di “ricaricare” energeticamente il cervello, hanno determinato un cambiamento importante nello studio del canto e dell’ascolto, puntando maggiormente l’attenzione sulla percezione di sé e sui cambiamenti che avvengono mentre si ascolta o si canta, piuttosto che sulla semplice produzione di suono o di percezioni acustiche. Tomatis ha spostato il punto di osservazione dal “Fare” all’“Essere”, con evidenti ricadute musicali e didattiche che, pur non negando la validità di esperienze diverse, accende una luce nuova sulla sensorialità umana e sull’orecchio in particolare, capace di diventare l’ordinatore profondo dei nostri gesti, musicali e no.

“Io credo che l’unità di mente e corpo sia una realtà oggettiva. Non si tratta solo di parti collegate fra loro, ma di un tutto che è indivisibile durante il suo funzionamento. Un cervello senza corpo non può pensare” (M. Feldenkrais).

Interiorizzazione mentale del suono

C’è una verità di fondo: “Possiamo riprodurre solo ciò che siamo in grado di sentire” (A.Tomatis – “L’orecchio e la vita”), ciò significa che l’interiorizzazione del suono, la sua audiation mentale e fisica precede e determina il suono che verrà, non solo nelle sue peculiarità musicali ma anche nella sua qualità espressiva.

“L’audiation si realizza quando si sente e si comprende mentalmente una musica il cui suono non è mai stato prodotto o non è più fisicamente presente” (E. Gordon).

CANTARE E ASCOLTARE

La chiave al mistero dell’ascolto

“Ascolta, e la tua anima vivrà” questa citazione dal libro biblico del profeta Isaia (55,3) per il musicologo Joachim-Ernst Berendt è la chiave al mistero dell’ascolto. Nell’ascolto la nostra anima riceve nutrimento. Entra in contatto con sé stessa e comincia a vivere. Nell’ascolto l’anima comincia a vibrare. Le nascono le ali. Si solleva al di là di quanto è terreno e superficiale. (Anselm Grun “Ascolta, e la tua anima vivrà”).

I nostri sensi non sono solo antenne aperte verso il mondo esterno, ma ci offrono anche costellazioni di informazioni sul nostro stato vitale, su cosa ci accade mentre siamo, o crediamo di essere totalmente concentrati su qualcos’altro: con la “coda dell’occhio” possiamo avvertire il più piccolo movimento laterale rispetto all’immagine centrale che stiamo fissando, così come l’orecchio può benissimo cogliere l’evoluzione musicale di un solo strumento nel bel mezzo di un’orchestra che suona… per giunta i nostri sensi “lavorano” in sinestesia gli uni con gli altri, si informano, collaborano, si accendono a vicenda dando un significato globale alle nostre esperienze. Espressioni popolari come “…mangiarsi con gli occhi… essere insipidi… avere la lingua tagliente… soffrire amaramente… fare orecchio da mercante… avere esperienze scottanti…” ci confermano che i nostri sensi si ascoltano e si influenzano a vicenda.

Porgere orecchio a sé stessi e agli altri

“Chi è armonioso ama l’armonia…Persino la musica da taverna più volgare, che rende un uomo allegro e l’altro pazzo, suscita in me un profondo senso di devozione…Vi è nella musica qualcosa di divino, più di quanto l’orecchio possa cogliere” (Thomas Browe, “Religio Medici”).

Cantando insieme ad altre persone, all’interno di un coro, ci si “trascina” l’un l’altro, acusticamente ma anche visivamente (un Direttore di coro sa bene che la sua espressione facciale è determinante per ottenere una certa sonorità), ci si incoraggia, sostiene, si dà il meglio di sé (la propria vibrazione vitale) per raggiungere uno scopo comune, si “porge orecchio” a sé stessi e agli altri alla ricerca dell’equilibrio acustico ed espressivo; in questo modo ci si parla e ci si ascolta al di là delle parole, a un livello più sottile e più intimo, più universale. Cantando anche i nostri connotati più individuali tendono a perdere la loro rigidità: si può unire la nostra voce anche alla persona meno affine e sentire che può armonizzarsi felicemente anche con lei. In questo modo anche i nostri pensieri e i nostri stati emotivi possono placarsi perché accolti.

L’orecchio regista della rappresentazione sonora

Nella pratica corale ogni cantore è chiamato a “incarnare” le parole che canta attraverso la sua voce, quasi come farebbe un attore con il proprio corpo. L’orecchio in questo caso diventa il regista della rappresentazione sonora, decidendo ogni minimo gesto vocale e la sua evoluzione nel tempo. A volte invece si verifica una sorta di spersonalizzazione del suono da parte dei coristi, non solo per un impegno superficiale ma anche per inseguire la chimera di una fusione acustica con le altre voci, dimenticando che questa avviene solo a livello di elevata qualità di emissione, intensione condivisa, ascolto e ricerca di equilibrio. Io credo che l’armonizzazione delle voci umane non possa avvenire positivamente per “sottrazione” di potenzialità ma al contrario per aumento di attenzione reciproca, “asservimento” generoso in cui ognuno offre la miglior qualità di ascolto di sé e degli altri e di integrazione sonora.

Ogni essere vivente suona dinamicamente

“Cantare è sempre una stimolazione dinamica”

“La sensibilità del cantore deve essere quella dell’interprete, suppone una cultura generale, cioè una abitudine alle cose dello spirito e del cuore… Il timbro non è uno scopo, ma una qualità, una maniera d’essere della voce” (F. Corti “Il respiro è già canto”).

Fra tutti i nostri organi di senso l’orecchio è forse il più complesso: la natura ha pensato bene di proteggerlo all’interno dell’osso più duro del corpo (rocca petrosa) e si è cimentata in raffinate acrobazie architettoniche al fine di offrirci un sistema per fare “entrare” dentro di noi il mondo esterno, di mantenere la nostra stazione eretta, di orientarci nello spazio, di farci sentire vivi nel qui e ora.

Vi siete mai divertiti ad ascoltare il sottile, acutissimo e multiforme segnale di “acceso” proveniente dalle nostre orecchie interne (da non confondere con l’acufene)? All’inizio è difficile percepirlo, sommersi come siamo dal rumore continuo, ma se ci si fa l’abitudine, magari approfittando dei rari momenti di relativo silenzio offertoci dalla nostra condizione, può diventare un compagno di viaggio fedele, riservato, un piccolo faro sonoro che ci ricorda la nostra essenza luminosa, la nostra “casa”, e soprattutto che ogni essere vivente “suona” e che il movimento domina ogni cosa nell’universo.

 “Ogni suono – che è un’energia rotatoria, asimmetrica e in risonanza sonica – è impregnato di vita e di movimento” (A. Tomatis “Ascoltare l’universo”).

“Il vibrato rappresenta il battito cardiaco della voce, il ritmo nel suono, l’elemento movente e, quando pulsa con ritmo regolare, anche la tranquillità” (G. Rohmert “Il cantante in cammino verso il suono”).

Cantare insieme

Ma cosa significa veramente cantare insieme? Noi sappiamo che la nostra voce è il risultato di vari fattori: il suono fondamentale (responsabile del nostro colore vocale unico), la vibrazione (il movimento vitale del suono), le risonanze (dovute ai tanti luoghi corporei in grado di scomporre e di amplificare il suono) e i suoni armonici (i suoni aggiuntivi che si creano intorno a un suono base seguendo regole aritmetiche e tendenti ad agglomerarsi in insiemi denominati “formanti del canto”). Se il canto avviene in condizioni ottimali, il nostro orecchio interno è in grado di orientarci verso quei suoni che sono più ricchi di risonanze e suoni armonici, perché non solo sono più piacevoli ad udirsi ma anche perché sono in grado di “legarsi” maggiormente con gli altri, hanno per così dire maggiori capacità sociali, sono cioè in grado di abbracciare le altre voci, creando una piacevole fusione. Istintivamente richiamano l’attenzione perché svolgono un importante ruolo di ricarica neurale, ci “nutrono”.  Il vecchio detto popolare “canta che ti passa” ha una sua logica! Insomma: le qualità “alte” della voce umana (vibrazione, risonanza, suoni armonici) sono fisicamente e psichicamente benefiche, fondono le voci e rendono esteticamente ottimale il risultato musicale.

A questo proposito suggerisco un esercizio di facile esecuzione: cantando un suono in registro medio, con una certa energia (attenzione che energia e forza, nel canto, sono antitetici: la prima permette l'espansione e il movimento, la seconda li congela), porre la mani a mo' di conchiglia sui padiglioni auricolari, chiudendo e riaprendo le dita (ascoltare come reagisce il suono); in un secondo momento porre i palmi delle mani davanti ai padiglioni auricolari con il dorso in avanti, come se fossero una parete divisoria (ascoltare come “cambia” la sensazione auditiva) e poi con i palmi in avanti e le mani posizionate dietro i padiglioni (annotare i cambiamenti di percezione), infine ci si può divertire a posizionare la mani un po' distanti dal viso, circa 20 cm., e, sempre cantando un solo suono, compiere  lentamente con le mani il percorso del semicerchio ideale che abbraccia il viso a distanza: ci si accorgerà che a un certo punto la percezione acustica si accende in maniera considerevole (in quel punto sarà avvenuto un allineamento ideale fra il suono che incontra le mani e la sua riflessione verso l'orecchio).
Esercizi come questi hanno il compito di sollecitare l'orecchio e la nostra percezione del suono nello spazio, calmano la pressione aerea sotto le corde vocali (troppo spesso eccessiva), educano alla autoregolazione della voce in base al feedback ricevuto dall'orecchio, spostano l'attenzione verso le componenti più immateriali del suono, quelle che gli permettono di “volare”.

Quanto ho qui ho cercato di comunicare nasce anche dall’aver fatto esperienza diretta del “Metodo funzionale della voce” che per molti versi tiene conto delle scoperte e della visione di Tomatis a cui ho fatto riferimento prima: ebbene posso ben affermare che questo studio mi ha “cambiato la vita”, ribaltando le convinzioni dei miei studi precedenti, riportando la mia voce a me, ampliando enormemente la sensibilità verso il suono, abituandomi a un ascolto finalmente più fisico e sensoriale, umano, e soprattutto a far pace con me stessa, lasciando andare  per sempre l’idea che cantare o suonare siano espressioni unilaterali rivolte all’esterno, frutto di fatica e pressione, per lasciare spazio alla vibrazione, al piacere e all’equilibrio che regala, e che può “passare” attraverso i tessuti corporei  propri e altrui, portando vitalità, equilibrio e armonia.

Già dalle prime lezioni di questo “metodo” (ma sarebbe forse più giusto definirlo “percorso di sensibilizzazione e rieducazione sensoriale attraverso il suono”) ebbi l’impressione, più tardi confermata, che questo insolito studio mi avrebbe portato inesorabilmente verso un cambiamento radicale nel mio rapporto con la musica e ancor più nella mia vita intera: finalmente potevo sperimentare la possibilità di sentirmi protagonista di quello che facevo, non più “asservita” a ruolo di mero esecutore di quella o quell’altra partitura, con la costante e angosciosa sensazione di non essere mai abbastanza all’altezza! Adesso mi piace relazionarmi musicalmente con gli altri attraverso questa nuova modalità e di condividerla, perché profondamente non violenta, né verso sé stessi né verso il mondo esterno: riporta a sé stessi, in linea con quello che io penso dovrebbe essere uno dei compiti più nobili e benefici della Musica e dell’Arte in generale.

“La musica ci insegna la cosa più importante: ad ascoltare” (Ezio Bosso).

APPROFONDIMENTO SULL'ORECCHIO

Proviamo a guardarlo un po' più da vicino questo nostro meraviglioso orecchio:

È un organo sensoriale sempre aperto (assenza di palpebre).
La porosità della rocca petrosa che lo accoglie (l'osso più duro di tutto il corpo) ne fa la culla ideale per il suono.
Nell'embrione si forma precocemente: il vestibolo affonda nel tubo neurale e la coclea si infiltra in tutto l'encefalo. A circa 4 mesi e mezzo è completamente sviluppato, e quindi in grado di percepire i suoni.
Le sue funzioni: equilibrio, protezione (attraverso lo smorzamento dei suoni dannosi), regolazione della pressione fra interno ed esterno del corpo, percezione del suono (per la sopravvivenza e la socialità), ricezione, discriminazione, selezione, comprensione e analisi del suono.
Può riconoscere frequenze che stanno fra i 20/20.000 Hertz (ambito estremamente limitato rispetto a quasi tutto il mondo animale, a vantaggio però di una capacità di rielaborazione che non teme confronti).

L'orecchio esterno, o padiglione auricolare, di struttura cartilaginea, è una specie di nostra impronta personale, raccoglie e convoglia le onde sonore esterne verso il condotto uditivo, localizza il suono, rinforza le frequenze intorno a 5.000 Hz. (a questo livello è possibile selezionare ciò che si vuole udire) e smorzare quelle intorno a 2.500 Hz., il suo ambito frequenziale è intorno ai 3.000 Hz.  
 –    Nel padiglione il suono viene frantumato e ritrasmesso con una differenza di 0,2 millisecondi (questo sfasamento temporale permette la localizzazione). Il condotto uditivo conduce al timpano, membrana di struttura cartilaginea stratificata a fibre intersecanti che ha il compito di riprodurre, frammentare, scomporre e amplificare il suono. La sua posizione obliqua ne amplia il raggio di azione e gli permette oscillazioni molto complesse.

L'orecchio medio è una cavità riempita di aria e rivestita di mucosa, funge anche da valvola di scarico della coclea (finestra rotonda), le sue frequenze di risonanza sono fra 800/1500 Hz (ambito frequenziale delle vocali). In questa zona si trovano gli ossicini più piccoli del corpo: martello, incudine e staffa, l'ultimo dei quali collega il timpano con la finestra ovale; agiscono come un sistema di leve al fine di convertire le vibrazioni in movimenti; il muscolo del martello, innervato dal nervo trigemino, (V) è riccamente dotato di fusi neuromuscolari e può smorzare le frequenze gravi; quello della staffa è innervato dal nervo facciale (VII), è scarsamente dotato di fusi neuromuscolari e può smorzare le frequenze acute. Fanno parte dell'orecchio medio anche le tube d'Eustachio, di struttura ossea e cartilaginea rivestita di mucosa, proteggono l'orecchio medio dai rumori interni e dalle infezioni, equilibrano la pressione interna/esterna, filtrano i suoni; attraverso il nervo trigemino permettono l'elevazione del velo palatino e la tensione del timpano.

L'orecchio interno, scavato nella rocca petrosa, è immerso nella endolinfa, contiene l'organo dell'udito (coclea) e quello dell'equilibrio (apparato vestibolare). La coclea, lunga circa 3,5 cm. è arrotolata su sé stessa per quasi tre giri. Le sue frequenze si aggirano intorno ai 8.000 Hz. Nella rampa media si trova l'organo del Corti, che contiene le cellule ciliate collegate con il nervo acustico il quale, a sua volta, passa attraverso il bulbo cerebrale e il talamo per arrivare alla corteccia uditiva. Le cellule ciliate interne possono riconoscere i suoni, quelle esterne sono innervate da fibre nervose provenienti dal cervello e sono in grado di aumentare e ridurre la lunghezza dei loro corpi in modo simile ai fusi neuromuscolari. Le cellule ciliate sono sensibili alla qualità della stimolazione acustica, e ognuna di loro è particolarmente recettiva verso una frequenza specifica. Oltre ciò le cellule ciliate possiedono la preziosa funzione di ricarica energetica per le cellule celebrali.

Letture:

  1. Mario Brunello – Silenzio – Il Mulino
  2. Fosco Corti – Il respiro è già canto – Feniarco
  3. Monica M. Cavalli, Anna Zanardi Cappon – Mente, cervello e respiro – Tecniche Nuove
  4. Anselm Grun – Ascolta, e la tua anima vivrà – Queriniana
  5. Alice Mado Proverbio – Neuroscienze cognitive della musica – Zanichelli
  6. Antonio Montinaro – Musica e cervello – Zecchini Editore
  7. Alfred Tomatis – Ascoltare l’universo – Baldini & Castoldi
  8. Alfred Tomatis – L’orecchio e la voce – Baldini & Castoldi
  9. Ida Maria Tosto – La voce musicale – EDT

Autore

Anna Seggi

Nata ad Arezzo. Diplomata in pianoforte e canto, concertista, pianista, cantante, direttore di coro. Ha approfondito lo studio del canto con R. Ongaro, A. Brown, T. Paoletti e con la Scuola di Metodo funzionale di S. Giustina-Belluno. Ha inciso un CD sul Vespro della Madonna di Banchieri e partecipato a varie formazioni madrigalistiche, fra cui quello interno al Gruppo Polifonico F. Coradini di Arezzo. Ha collaborato alla stesura del libro “Il respiro è già canto”, a cura di D. Tabbia e dal 2007. Si occupa di vocalità all'interno dell'omonimo corso per direttori di coro che si tiene a Torino.

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Di Anna Seggi

Biografia

Anna Seggi

Nata ad Arezzo. Diplomata in pianoforte e canto, concertista, pianista, cantante, direttore di coro. Ha approfondito lo studio del canto con R. Ongaro, A. Brown, T. Paoletti e con la Scuola di Metodo funzionale di S. Giustina-Belluno. Ha inciso un CD sul Vespro della Madonna di Banchieri e partecipato a varie formazioni madrigalistiche, fra cui quello interno al Gruppo Polifonico F. Coradini di Arezzo. Ha collaborato alla stesura del libro “Il respiro è già canto”, a cura di D. Tabbia e dal 2007. Si occupa di vocalità all'interno dell'omonimo corso per direttori di coro che si tiene a Torino.

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