Redazione
Dostoevskij immerso nell’epoca con il suo particolare pensiero, la società russa e l’incombente imporsi del socialismo. Mugnai ci offre uno spaccato della personalità e delle idee del grande romanziere in una prospettiva inconsueta.
La sconfinata opera di Fedor Dostoevskij (fra i miei scrittori preferiti) offre al lettore vaste possibilità di riflessione e critica. Un’interessante prospettiva è trattare il rapporto dell’autore con il Socialismo. Per questo sembra opportuno sottolineare l’importanza di una rilettura, in questa chiave, dei “Demoni”, così come è altrettanto utile ispirarsi al saggio “La concezione di Dostoevskij” di Nikolaj Berdjaev.
Nel 1846 il giovane Dostoevskij pubblica il suo primo romanzo, “Povera gente” incontrando il successo di pubblico e critica, tra cui l’apprezzamento del famoso critico letterario Vissarion Belinskij. Un romanzo di denuncia sociale, in cui i protagonisti sono tutti gente del popolo, quel popolo russo umiliato ed oppresso, che sembra non avere alcuna voce all’ interno dell’impero zarista. In parte il romanzo riprende alcuni aspetti del racconto di Gogol “Il cappotto” e li estende a macchia d’olio, mettendo in evidenza come la povera gente sia l’espressione più autentica della Russia. Lo stesso Dostoevskij vive in quel periodo di stenti: la madre è morta di tisi nel 1837, il padre muore nel 1839 dopo una lite con i suoi servi della gleba ed il giovane Fedor si trova a vivere in miseria nei quartieri proletari russi, costretto a patire la fame e sommerso dai debiti da gioco. In Europa intanto impazzano i moti socialisti del 48’ e Dostoevskij si avvicina ad un circolo politico-culturale ispirato al socialista francese Charles Fourier, gruppo composto da giovani intellettuali, seguaci di Herzen e Belinskij, tra cui vi erano M. Saltykov, A. Plesceev, A. Majkov ed altri. Hanno come primo progetto quello di fondare la prima tipografia clandestina in Russia per poter diffondere meglio le proprie idee al popolo russo. Un infiltrato però li denuncia e vengono tutti arrestati nel 1849 e condannati a morte. Sono quindi condotti sulla Piazza Semenovskij di Pietroburgo, incappucciati e con dei lenzuoli funebri addosso. Nel momento appena precedente la fucilazione un messo dell’imperatore legge un comunicato firmato dallo zar stesso in cui la pena capitale viene comminata in quattro anni di lavori forzati e successivi sei anni di servizio militare. Questo episodio così drammatico e i successivi quattro anni di lavori forzati in Siberia, a contatto con oppositori politici, ma anche con delinquenti di tutti i tipi, anni mirabilmente trasposti nel libro “Memorie di una casa morta”, stravolgono l’esistenza di Dostoevskij, la sua concezione della vita, la sua visione del mondo. Si avvicina sempre più convintamente a Dio, manifesta il suo amore incondizionato per la Russia e si dichiara avversario degli occidentalisti. Nelle varie riviste che dal 1861 in poi dirige o con cui collabora, si schiera convintamente contro i progressisti, i nichilisti ed i socialisti. Vede nella rivoluzione socialista, ma in realtà in qualsiasi tipo di rivoluzione che stravolga gli assetti sociali e politici qualcosa di apocalittico, come un avvicinarsi della fine del mondo. Come scrive Berdjaev: “Dostoevskij rivela che la via della libertà trascesa in arbitrio deve portare alla rivolta e alla rivoluzione. La rivoluzione è il destino fatale dell’uomo sceso dai fondamenti divini, che considera la sua libertà come arbitrio vuoto e ribelle.” La rivoluzione non è dettata da motivi esterni, ma da condizioni che provengono dall’interno dell’uomo e queste lo portano inevitabilmente a mutamenti catastrofici nei confronti degli uomini, del mondo e di Dio. Secondo Dostoevskij la rivoluzione porta l’uomo a perdere la libertà o per meglio dire a tramutare la libertà in violenza e schiavitù. Questo concetto attraversa come un fiume carsico quasi tutte le opere mature di Dostoevskij e in special modo viene approfondito ne “I demoni” e ne “I fratelli Karamazov”. Il problema del socialismo ha interessato Dostoevskij fin da giovane. Sembra che non abbia mai letto Marx e che il socialismo cui faceva riferimento fosse essenzialmente francese. Come precedentemente scritto, da giovane il socialismo lo ha attratto, poi lo ha tormentato fino a giungere ad un’opposizione viscerale che lo ha portato ad affermare che: “il socialismo non è solo il problema operaio o del cosiddetto quarto stato, ma è prevalentemente un problema ateo, il problema dell’incarnazione contemporanea dell’ateismo, il problema della Torre di Babele che si costruisce senza Dio, non per raggiungere i cieli dalla terra, ma per abbassare i cieli alla terra.” La natura religiosa e quasi mistica del socialismo irrita Dostoevskij, perché in esso vede l’avvento di Dio sulla terra o per meglio dire l’affermazione del Grande Inquisitore su Cristo. Dostoevskij non avversa le rivendicazioni sociali dei socialisti, perché in fondo all’anima anche lui è dalla parte degli umili e deboli, come d’altronde dimostrano le sue opere, ma il fatto che il socialismo sia un fenomeno dello spirito, che pretende di risolvere i problemi ultimi dell’uomo, di cambiarlo e di voler quindi modificare la sua natura, secondo determinati principi. Per Dostoevskij, che conosce una sola Verità e cioè Cristo, niente e nessuno si può sostituire a Lui. Il socialismo non solo non crede in Dio e nell’immortalità dell’anima, ma neanche nella libertà dello spirito umano. E cede quindi anche a tutte e tre le tentazioni respinte da Cristo nel deserto. Per il Grande Inquisitore l’errore fondamentale di Gesù è stato quello di rifiutare di trasformare le pietre in pane, in nome della libertà e della promessa del pane celeste. Ed il Grande Inquisitore riguardo ciò dice a Cristo: “Tu hai ricusato l’unica bandiera assoluta che Ti era stata offerta, per costringere tutti a inchinarsi davanti a Te senza discutere: la bandiera del pane terrestre; e l’hai ricusata in nome della libertà e del pane celeste…Ti dico che l’uomo non ha affanno più tormentoso del pensiero di trovare a chi cedere più in fretta il dono della libertà con cui quest’essere infelice è nato”. E qualche pagina più avanti Il Grande Inquisitore profetizza come si svolgerà la vita nella nuova società: “gli uomini diventeranno liberi quando rinunceranno alla loro libertà….Noi daremo loro una felicità quieta, umile, la felicità degli esseri deboli, quali essi sono stati creati…Noi li faremo lavorare, ma nelle ore libere dal lavoro ordineremo la loro vita come un gioco di fanciulli, con canti, cori infantili e danze innocenti. Oh, consentiremo loro anche il peccato, perché sono deboli e impotenti.” Come non rivedere in ciò una profezia di quello che saranno i collettivismi di destra e sinistra del xx secolo? Il socialismo reale ha sottomesso l’uomo in nome dell’uguaglianza e della ragione collettiva che indirizzava le vite di ognuno, quasi come se ogni uomo fosse un numero e non più un essere con i suoi sentimenti, emozioni, sogni e desideri. Per i socialisti (riprendendo Rousseau) l’uomo nasce buono ed è la società e l’ambiente che lo corrompono e lo rendono cattivo ed infelice. Cambiando la società dalle fondamenta, creando un uomo nuovo, allevandolo secondo determinati principi, si può raggiungere il Paradiso in terra e rendere tutti gli uomini buoni e felici. Questa è la grande utopia che ha affascinato centinaia di milioni di uomini nel mondo. Per Dostoevskij l’uomo è invece infelice e porta con sé il senso tragico della vita. Solo avvicinandosi a Cristo l’uomo può dare un significato concreto al dolore che prova, perché è attraverso la sofferenza che si scopre il senso compiuto della vita. Chi promette la felicità nella Terra, chi vuole raddrizzare il “legno storto dell’umanità”, per Dostoevskij è considerato un imbroglione, un illusionista che vuole corrompere il popolo, travestito da buon rivoluzionario. E’ proprio nel romanzo “I demoni” che Dostoevskij si scaglia apertamente contro questi rivoluzionari. L’associazione segreta con a capo Petr Stepanovic, vuole sovvertire l’ordine sociale, attraverso azioni terroristiche per scatenare poi la rivolta popolare contro lo zar. I cinque componenti dell’associazione sono tutti giovani borghesi, annoiati dalla vita quotidiana, cinici, spietati e senza un briciolo di umanità, ma solo spinti dalla sete di potere, da una bramosia incontrollata. E’ con questa bramosia che Petr Stepanovic illustra a Stavrogin le sue intenzioni qualora arrivasse al potere: “Appianare i monti è una buona idea, non è un’idea ridicola. Non ci vuole cultura, basta la scienza. Anche senza la scienza vi sarebbe del materiale per mille anni, ma non sarebbe necessaria l’obbedienza. La sete di cultura è già una sete aristocratica. Appena si manifestano la famiglia e l’amore, ecco anche il desiderio della proprietà. Noi uccideremo il desiderio, scateneremo l’ubriachezza, le calunnie, le denunce; scateneremo una corruzione inaudita, soffocheremo nella culla ogni genio. Tutto ridotto ad un comun denominatore, uguaglianza completa….Obbedienza assoluta, uniformità assoluta, ma una volta ogni trent’anni Sigalev dà via libera anche allo spasimo e tutti cominciano ad un tratto a divorarsi l’un l’altro, sino a un certo limite, unica cosa per non annoiarsi. La noia è una sensazione aristocratica. Ciascuno appartiene a tutti, e tutti a ciascuno. Tutti sono schiavi e nella schiavitù sono uguali.” Se vi sono ovviamente delle esagerazioni e delle iperboli è pur vero che alcuni tratti caratteristici dei rivoluzionari de “I demoni”, si possono ritrovare nei successivi rivoluzionari russi bolscevichi. Come scrive Berdjaev , “nella realtà russa degli anni 1860-80 non c’erano ancora né Stavrogin, né Kirillov, né Satov, né Petr Stepanovic, né Sigalev. Questa gente è apparsa da noi più tardi, solo nel XX secolo, quando nelle idee, divenute più profonde, cominciarono ad alitare correnti religiose.” Dostoevskij è stato in certo qual modo profetico, ha saputo guardare oltre le giuste rivendicazioni sociali dei socialisti ed anticipare quelle che sarebbero state le conseguenze di una rivoluzione socialista. Un altro pericolo per Dostoevskij è rappresentato dal cattolicesimo, perché in esso scorge un’analogia con il socialismo. La teocrazia papale, il suo universalismo, sono aspetti similari alla teoria socialista dell’uguaglianza e del sogno di un mondo senza barriere. Per Dostoevskij entrambe negano la libertà di coscienza e si sostiene in entrambe un’unione forzata degli uomini.
Quindi le considerazioni di Dostoevskij sui pericoli insiti nel socialismo sono particolarmente problematiche. E’ legittimo pensare che per Dostoevskij l’accumulazione incontrollata del potere statale porti inevitabilmente alla perdita completa delle libertà economiche e sociali e che ne consegua una sottomissione totale del singolo individuo e del popolo in generale nei confronti di una piccola minoranza che ha il controllo su tutto e tutti. Probabilmente la ricchezza di un popolo sta proprio nel lasciare libero ogni singolo individuo di poter sviluppare al meglio le proprie capacità e decidere cosa poter fare nella propria vita. Non dovrebbe essere lo Stato o chi per esso a determinare la vita di ogni singolo individuo, perché così si svaluta la dignità individuale, oltre ovviamente a privarlo della libertà.
E’ anche vero che, seppur Dostoevskij si batta contro il socialismo, spesso si è trovato a difendere l’impero zarista, un sistema profondamente ingiusto, tanto quanto la futura Unione Sovietica. Quindi se è vero che è stato profetico e ha scritto pagine memorabili sulle possibili storture della rivoluzione socialista, è anche vero che non ha mai criticato abbastanza le ingiustizie del regime zarista, nel quale il popolo russo che Dostoevskij affermava amare incondizionatamente, si trovava costretto a convivere. Inoltre non può essere la totale adesione a Cristo l’unico importante crocevia per creare le condizioni di un mondo migliore. Gli insegnamenti di Cristo, il suo esempio, possono essere un importante punto di riferimento, ma non possono risultare l’unica verità possibile. In ciò Dostoevskij dimostra di essere in certo modo limitato da una visione univoca della vita. Le ingiustizie sociali non nascono semplicemente da una mancata adesione alla dottrina cristiana ma da ragioni più profonde e questo forse Dostoevskij non lo aveva compreso a fondo. La rivoluzione violenta come quella bolscevica, ebbe origine proprio dalle enormi ingiustizie prodotte dal regime zarista. E la povera gente, disperata e afflitta, inizia a dar credito ai vari Petr Stepanovic della situazione e spesso dal caos nascono dei mostri. Voglio concludere questo mio articolo con una citazione di Orlando Figes, tratta dal libro “La tragedia di un popolo – La rivoluzione russa 1891-1924” : “ Per quanto forte ed efficiente, lo Stato non può né rendere le persone uguali tra loro né migliorarle. Tutto quel che può fare è trattare i cittadini alla pari e attivarsi perché le loro attività siano indirizzate al bene comune. Dopo un secolo dominato dai totalitarismi gemelli del comunismo e del fascismo, si può solo sperare che questa lezione sia stata imparata.”
LEtture:
- Fedor Dostoevskij – I demoni – Mondadori
- Fedor Dostoevskij – Memorie del sottosuolo – BUR
- Fedor Dostoevskij – I fratelli Karamazov – Feltrinelli
- Nikolaj Berdjaev – La concezione di Dostoevskij – Einaudi