Le onde gravitazionali ci parlano dell’universo

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Le onde gravitazionali ci parlano dell’universo
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Michele Punturo

REDAZIONE

Michele Punturo insegna a Perugia e vive ad Arezzo. E’ Co-Coordinatore del comitato internazionale “ET steering committee” per la realizzazione del progetto Einstein Telescope, il più grande e sensibile telescopio di onde gravitazionali mai realizzato. Una nuova frontiera dell’astronomia e dell’astrofisica che ci consentirà di indagare la composizione interna delle stelle e l’inizio dell’universo. Con questo articolo ci porta dentro la lunga storia della fisica che da Anassimandro giunge ad Einstein, alle rilevazioni interferometriche di onde gravitazionali e al telescopio intitolato al genio della relatività generale.

l’eleganza di una teoria fisica

La bellezza di una teoria e la sua capacità di modellizzare la realtà spesso è collegata all’eleganza delle sue formule. Il grande pubblico associa il genio di Einstein alla famosa formula E=mc2, apparentemente semplicissima, che sancisce l’equivalenza tra energia e massa e che introduce il concetto di energia a riposo di una particella dotata di massa m. Tale formula è il condensato del successo di Einstein nel conciliare le leggi dell’elettromagnetismo, espresse dalle equazioni di Maxwell, con la meccanica classica, regolata dall’equazioni del moto di Newton. Einstein intitola il suo articolo del 1905 “Zur Elektrodynamik bewegter Körper”, sull’elettrodinamica dei corpi (in movimento); questo è uno dei grandissimi successi di Albert Einstein nel 1905, un anno mirabile, in cui pubblicò anche l’interpretazione dell’effetto fotoelettrico, che gli valse nel 1921 il Nobel per la Fisica, e la modellizzazione del moto Browniano, cioè del moto di agitazione termica delle molecole, un caposaldo della moderna meccanica statistica.

Il suddetto articolo sull’elettrodinamica dei corpi in movimento è attualmente definito come l’atto fondante della teoria della relatività speciale o ristretta. Perché ristretta? Perché in tale articolo Einstein introduce una teoria meccanica che descrive in maniera coerente la massa, lo spazio o distanza, il tempo e le interazioni elettromagnetiche, ma esclude totalmente l’interazione fondamentale più importante nel comprendere l’universo che ci circonda, la gravità.

La gravità è l’interazione, la forza che ha spinto filosofi e scienziati ad interrogarsi sin dall’antichità. Essa, in effetti limita palesemente le potenzialità dell’umanità, ma sembra(va) agire differentemente su cose ed elementi diversi. Anassimandro (610-546 a.C.), che possiamo considerare il “primo scienziato” della storia perché introduce la metodologia del concetto corroborato da argomentazioni razionali, cercò di spiegare il perché la Terra non cada nell’universo tramite il concetto di indifferenza, molto simile a quello della fisica moderna di simmetria. Secondo Anassimandro, nello spazio vuoto non c’è differenza tra su e giù, tra alto e basso, e quindi non c’è ragione affinché la terra si muova.

Aristotele (384-322 a.C.) introdusse la gravità e la levità come qualità degli elementi che cadono (pietre) o si innalzano (fuoco) a seconda di tali qualità; la Terra non cade perché si trova al centro dell’universo, verso il quale cadono tutti gli elementi dotati di gravità. Le sue affermazioni, per esempio “Il moto verso il basso di una massa di oro o di piombo, o di qualsiasi altro corpo, dotato di peso, è tanto più veloce quanto maggiori sono le sue dimensioni” sembravano corroborate dall’osservazione comune: una piuma sembra cadere a terra più lentamente di un martello.

Fu Galileo Galilei (1564-1642) a scardinare sperimentalmente sia la visione Aristotelica della gravità, che la visione Tolemaica (Tolomeo, 100-168 d.C.) dell’universo, introducendo una visione moderna della gravità. I suoi esperimenti sulla caduta dei gravi spazzarono (quasi totalmente) via la differenziazione degli elementi rispetto alla gravità. L’osservazione dell’imperfezione della superficie lunare rompe la distinzione tra mondo sublunare e i cieli; il suo “e pur si muove” riferito al Sole supporta il modello copernicano (Nicolaus Copernicus, 1473-1543) del sistema solare. L’osservazione delle lune di Giove (i satelliti medicei) e del loro moto intorno al pianeta, mandò in frantumi le sfere di cristallo centrate sulla Terra di aristotelica memoria.

Finalmente Isaac Newton (1642-1726), insieme alla teorizzazione della Meccanica Classica e l’invenzione del calcolo infinitesimale, costruì la teoria della Gravitazione Universale, che in una sola formula spiega l’interazione tra i corpi sul nostro pianeta, l’attrazione fra gli astri celesti e le orbite dei medesimi. Anche qui siamo di fronte ad una formula estremamente elegante, anche se presenta molte criticità:

F=G(m1m2/r2)

Secondo Newton, l’attrazione F tra due corpi di massa m1 e m2 è inversamente proporzionale al quadrato della distanza r fra di essi e proporzionale al prodotto fra le masse dei medesimi. La costante di proporzionalità e G che assume lo stesso valore qui, nel sistema solare e in ogni altra galassia dell’universo. La potenza di tale semplice formula è tuttora fenomenale; non solo perché è utilizzata in quasi tutte le situazioni pratiche, anche se sappiamo che non è la teoria “corretta” della gravitazione, ma per il contenuto universale che essa ha: una costante universale, la dipendenza da 1/r2 che, se violata, determina un universo del tutto diverso. Cosa manca? Il tempo! Una variazione della massa in un punto, per esempio un suo spostamento, si ripercuote istantaneamente in tutto l’universo.

Per ovviare alle incongruenze della gravitazione di Newton, occorre attendere il 1915-1916, quando Albert Einstein pubblicò a più riprese la sua “Teoria della Relatività Generale”. Questa è una vera rivoluzione, un cambio di paradigma. Einstein interpreta la gravità come un fattore geometrico dell’universo (locale), legato alla sua curvatura; si abbandona lo spazio euclideo, già esteso a 4 dimensioni dalla teoria della relatività speciale (o ristretta) per uno spazio curvato dalla presenza della massa dei corpi. Basandosi sulla geometria non euclidea, sviluppata da Carl Friedrich Gauss (1777-1855) e Bernhard Riemann (1826-1866), Einstein riuscì a sostituire il concetto millenario di gravità come forza di attrazione con quello rivoluzionario di curvatura dello spazio-tempo, che vincola il moto di un corpo che in esso cade liberamente. Ancora una volta una elegante formula può essere usata per rappresentare questa teoria:

Gμν=8π(G/c4)Tμν

Questa formula, dietro una sua apparente semplicità, nasconde una estrema complessità, tuttora non dominata dai fisici; essa contiene una grande fetta della nostra conoscenza o meglio della nostra ignoranza dell’universo. Gμν rappresenta la curvatura dello spazio-tempo, che vincola il moto dei corpi che in esso si muovono. Tμν rappresenta la massa, nella sua accezione relativistica, e quindi equivalente all’energia (o legata alla quantità di moto). Quindi, in questa formula, usando le parole di John Archibald Wheeler (1911-2008) “la materia dice allo spazio come curvarsi, lo spazio dice alla materia come muoversi”. Questa formula, la sua violazione o la sua validità, hanno come conseguenza la nostra visione dell’universo, l’esistenza o meno dell’energia oscura che accelera l’espansione dell’universo, la materia oscura, che regola le orbite delle galassie, l’esistenza dei buchi neri ed una serie di predizioni, che finora sono state confermate da tutti gli esperimenti e le osservazioni realizzati da fisici e astrofisici.

le onde gravitazionali

Una di queste predizioni, quella che forse ha più angustiato e confuso Albert Einstein, è rappresentata dalle onde gravitazionali, ambito in cui si muove la mia attività di ricerca. Nel 1916, Einstein predisse che la curvatura dello spazio-tempo, in opportune condizioni, si propaga alla velocità della luce come un’onda. A causa di una serie di errori di calcolo (eh, sì, pure zio Albert sbagliava), della non propensione al metodo del peer-review, che è alla base dell’autoverifica della scienza (Albert era non poco permaloso), Einstein a più riprese affermò e negò la predizione delle onde gravitazionali, fino a concludere che esse esistono, ma che non saranno mai viste. La base di questa affermazione è ancora una volta nascosta in bella vista nella formula precedente: il fattore G/c4 in tale formula ha un valore numerico, nel sistema internazionale (SI), dell’ordine di 8×10-45, cioè devo scrivere 44 zeri dopo la virgola, prima di raggiungere la prima cifra non nulla. Questo può essere interpretato, in modo un po’ naif, affermando che l’universo è un mezzo elastico estremamente rigido e quindi per deformarlo devo avere in gioco energie enormi e che le onde che in esso si propagano avranno ampiezze talmente piccole da non poter essere rivelate.

Onde gravitazionali

Ecco, qui sta la bellezza della scienza: nessuna affermazione è così autorevole da non poter tentare di falsificarla. E per decenni gli scienziati nel mondo hanno tentato di misurare il passaggio di un’onda gravitazionale, all’inizio con lo sforzo di un solo scienziato visionario, Joseph Weber, che negli anni ’60 costruì la prima “barra risonante” e poi con l’ingresso di tale ricerca nella big science, con la costruzione dei grandi rivelatori interferometrici di onde gravitazionali, LIGO negli Stati Uniti e Virgo in Italia (Virgo è stato realizzato vicino Pisa  grazie alla collaborazione tra l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e il francese Centre National de la Recherche Scientifique; attualmente vi partecipano scienziati da tutta Europa con istituti olandesi, belgi, tedeschi, spagnoli, polacchi, ungheresi, greci).

Rivelatore interferometrico Virgo

Nel 2015, gli scienziati della collaborazione LIGO-Virgo, a cui ho il piacere di appartenere, dimostrarono che Einstein aveva ragione, dimostrando che aveva torto! Le onde gravitazionali, così come predetto dalla teoria della relatività generale esistono e si possono misurare. Ci sono voluti esattamente 100 anni dalla predizione teorica, 50 circa dai primi tentativi sperimentali, ma il 14 Settembre 2015 i due rivelatori LIGO misurarono il passaggio dell’onda gravitazionale (GW150914) generata dalla fusione di due buchi neri “stellari”, uno di 29 masse solari, l’altro di 36 masse solari. Questa è stata la prima misura diretta dell’esistenza delle onde gravitazionali. Nel 2017, poi, i tre rivelatori LIGO e Virgo hanno rivelato il segnale gravitazionale (GW170817) dato dalla fusione di due stelle di neutroni, a circa 140 milioni di anni luce di distanza dalla Terra, misura accompagnata dall’osservazione dell’emissione luminosa prima nei raggi gamma, e via via giù in frequenza fino alle onde radio, da parte di satelliti, telescopi e radio-telescopi. Questa osservazione è stata l’inizio di una nuova branca dell’astronomia, l’astronomia multimessaggera, in cui l’osservazione di una medesima sorgente astrofisica è effettuata attraverso diversi tipi di messaggeri, onde elettromagnetiche o fotoni, onde gravitazionali e neutrini. La prima rivelazione delle onde gravitazionali è stata premiata, nel 2017, col Nobel ai fisici Rainer Weiss, Barry C. Barish e Kip S. Thorne, per il loro contributo alla realizzazione di LIGO.

einstein telescope (et)

Dalla prima rivelazione, oramai sono stati osservate decine di coalescenze di corpi compatti, sistemi binari di buchi neri, sistemi binari di stelle di neutroni e addirittura sistemi misti. Questo sta rivoluzionando la nostra visione dell’universo, l’evoluzione delle stelle e la formazione dei buchi neri. Siamo nella medesima condizione di quando Galileo alzò il cannocchiale al cielo, aprendo una nuova finestra sull’universo e raccogliendo immediatamente una ricchissima messe di nuove osservazioni e scoperte. Ma come è avvenuto con Galileo, è immediata la necessità di andare oltre. I rivelatori attuali e i loro aggiornamenti potranno permetterci nei prossimi anni di osservare l’universo vicino, andando indietro nel tempo di pochi miliardi di anni. Ma se vogliamo avvicinarci all’inizio dell’universo, esplorare con le onde gravitazionali le ere oscure, prima della formazione delle stelle, occorre fare un salto generazionale negli osservatori di onde gravitazionali. Questa è l’idea che sta dietro al progetto Einstein Telescope, che mira a realizzare in Europa un osservatorio di onde gravitazionali di terza generazione. Einstein Telescope, ET per gli amici, è la conferma che una caratteristica fondamentale del ricercatore è la perseveranza. L’idea e la necessità di un rivelatore di terza generazione è stata elaborata dal sottoscritto e dal mio collega Harald Lück, del Max-Plank Institute di Hannover, nel 2004, quando coordinavamo, all’interno di un progetto europeo, un gruppo di lavoro che studiava l’evoluzione dei rivelatori di onde gravitazionali.

Schema dell’Einstein Telescope

Questa idea è stata delineata nel 2005 in un Exploratory Workshop dell’European Science Foundation e finalmente ne abbiamo realizzato il disegno concettuale, grazie ad un grant che ho vinto con la Commissione Europea all’interno di FP7. Da allora abbiamo lavorato in parallelo sui rivelatori attuali, per rivelare le onde gravitazionali, e progettato e ricercato per sviluppare la tecnologia di ET. I tempi ora sono maturi; la proposta internazionale di ET, da me coordinata, è stata sottomessa nel 2020 al comitato del Consiglio Europeo per le Infrastrutture Europee di Ricerca (ESFRI, European Strategy Forum on Research Infrastructures); capofila della proposta è il governo italiano seguito dai governi di altre quattro nazioni. Il consorzio di istituti che supporta ET è composto da 41 fra enti di ricerca e università europee. La proposta è stata approvata dal comitato ESFRI il 30 giugno 2021. L’Europa costruirà ET e gli Stati Uniti, a ruota, stanno proponendo un osservatorio dello stesso livello, chiamato Cosmic Explorer. L’Italia candida la Sardegna a ospitare ET, che sarà un nuovo centro di ricerca di livello mondiale, grazie alle caratteristiche geologiche, ambientali, economiche e di antropizzazione uniche dell’isola.

La scelta del sito di ET avverrà in breve tempo e nel giro di circa 12-15 anni avremo uno strumento che ci permetterà di osservare, tramite le onde gravitazionali, l’universo ai suoi albori, comprenderne l’evoluzione, dipanare il mistero della sua espansione accelerata, comprendere la fisica nucleare all’interno delle stelle di neutroni, capire la formazione dei buchi neri super-massicci che sono al centro delle galassie e ancora una volta, sfidare Albert Einstein e la sua teoria della Relatività Generale.

Autore

Michele Punturo

Arezzo 1965.
Si è diplomato al Liceo Scientifico Francesco Redi di Arezzo, laureato in Fisica nel 1990 presso l’Università di Perugia e ha un dottorato di ricerca in Fisica.
Attualmente è dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e coordinatore delle attività astro-particellari (Gr2) della sezione INFN di Perugia.
Autore di più di 330 pubblicazioni scientifiche internazionali attualmente è anche docente della scuola di dottorato di ricerca in Fisica presso l’Università degli Studi di Perugia.
Membro della collaborazione scientifica LIGO-Virgo dal 1994, ha contribuito allo sviluppo del rivelatore interferometrico di onde gravitazionali Virgo in ruoli di primo piano, come detector coordinator e responsabile del computing per l’analisi dati.
Ha partecipato alla prima rivelazione delle onde gravitazionali nella collaborazione LIGO-Virgo, scoperta premiata con il Premio Breakthrough nel 2016 e con il Nobel in Fisica nel 2017.
Punturo è stato vincitore di molti grant europei per progetti di ricerca: coordinatore Internazionale del progetto "GraWIToN", un "Initial Training Network" (ITN) volto alla formazione di PhD in Europa nell'ambiente della ricerca in onde gravitazionali; coordinatore Internazionale del progetto FP7-IRSES "ELiTES", che ha sostenuto lo scambio di ricercatori tra Europa e Giappone, focalizzato sulle tecnologie per i rivelatori di onde gravitazionali.
Guida a livello globale le attività indirizzate allo sviluppo di futuri osservatori di onde gravitazionali.
Nel 2007 ha proposto e poi coordinato (dal 2008 al 2011) il disegno concettuale dell’osservatorio di terza generazione di onde gravitazionali Einstein Telescope (ET), finanziato dalla Commissione Europea, e adesso diventato un articolato progetto a livello mondiale.
Nel 2020 ha coordinato il team di cinque nazioni e 41 enti di ricerca che ha proposto con successo ET per la nuova lista di infrastrutture di ricerca di livello europeo (roadmap ESFRI).

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Biografia

Michele Punturo

Arezzo 1965.
Si è diplomato al Liceo Scientifico Francesco Redi di Arezzo, laureato in Fisica nel 1990 presso l’Università di Perugia e ha un dottorato di ricerca in Fisica.
Attualmente è dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e coordinatore delle attività astro-particellari (Gr2) della sezione INFN di Perugia.
Autore di più di 330 pubblicazioni scientifiche internazionali attualmente è anche docente della scuola di dottorato di ricerca in Fisica presso l’Università degli Studi di Perugia.
Membro della collaborazione scientifica LIGO-Virgo dal 1994, ha contribuito allo sviluppo del rivelatore interferometrico di onde gravitazionali Virgo in ruoli di primo piano, come detector coordinator e responsabile del computing per l’analisi dati.
Ha partecipato alla prima rivelazione delle onde gravitazionali nella collaborazione LIGO-Virgo, scoperta premiata con il Premio Breakthrough nel 2016 e con il Nobel in Fisica nel 2017.
Punturo è stato vincitore di molti grant europei per progetti di ricerca: coordinatore Internazionale del progetto "GraWIToN", un "Initial Training Network" (ITN) volto alla formazione di PhD in Europa nell'ambiente della ricerca in onde gravitazionali; coordinatore Internazionale del progetto FP7-IRSES "ELiTES", che ha sostenuto lo scambio di ricercatori tra Europa e Giappone, focalizzato sulle tecnologie per i rivelatori di onde gravitazionali.
Guida a livello globale le attività indirizzate allo sviluppo di futuri osservatori di onde gravitazionali.
Nel 2007 ha proposto e poi coordinato (dal 2008 al 2011) il disegno concettuale dell’osservatorio di terza generazione di onde gravitazionali Einstein Telescope (ET), finanziato dalla Commissione Europea, e adesso diventato un articolato progetto a livello mondiale.
Nel 2020 ha coordinato il team di cinque nazioni e 41 enti di ricerca che ha proposto con successo ET per la nuova lista di infrastrutture di ricerca di livello europeo (roadmap ESFRI).

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