La forza del creare
tra poesia e scienza

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La forza del creare
tra poesia e scienza

REDAZIONE

In più occasioni, in questo sito, è stato indagato il possibile ed in molti casi fecondo rapporto fra Arte e Scienza. Questa volta, approfittando della formazione filosofica di Lucrezia Lombardo e della sua familiarità con la Poesia, le abbiamo chiesto una riflessione riguardo alle convergenze fra l’atto poetico e quello scientifico. Ne nasce un’analisi che mette ancora una volta in evidenza come al centro della grande interrogazione dell’uomo si pone la ricerca del senso della propria esistenza e del proprio posto nel mondo. La spinta è l’inesauribile desiderio di conoscere, i mezzi utilizzati sono i migliori a sua disposizione: creatività ed immaginazione.

L’uomo nasce con un impulso religioso, con un innato bisogno d’interrogarsi sulla ragione del proprio essere-venuto-al-mondo e con l’istinto di meravigliarsi dinnanzi al sopraggiungere del più drammatico degli eventi, la morte. È proprio lo scivolare nel nulla, la decomposizione -disfacimento del corpo e delle certezze- che spingono l’essere umano a indagare la natura e, dunque, la propria condizione. Una condizione che si caratterizza, fondamentalmente, per l’impossibilità di rispondere alla più centrale delle domande: cosa sopraggiunge allorché il corpo cessa di funzionare?

La ricerca di una risposta al più profondo e tormentoso degli interrogativi, ha generato la filosofia e, precedentemente, deve aver svolto un ruolo centrale nella formazione del linguaggio, la cui origine è da ricercarsi, oltre che in motivazioni pratiche e di sopravvivenza, nel tentativodei primi uominidi spiegare cosa stesse accadendo a coloro che giacevano inerti per terra.

Sepoltura preistorica

Il mistero della morte a cui, ancora oggi, è possibile conferire una risposta solo ricorrendo alla fede, o alle credenze personali -come nel caso della scelta dell’ateismo e dell’agnosticismo-, è l’origine di ogni linguaggio e, dunque, anche del più primitivo di essi: la poesia. In principio, difatti, si crede che il poetare si servisse del canto: la voce assume così un ruolo preponderante, nella misura in cui i versi avevano un valore riturale e i riti nascono, oltre che come mezzi per ingraziarsi qualche divinità al fine della sopravvivenza, come canti funebri, che accompagnino l’anima -o ciò che resta- oltre il confine dell’invisibilità. Sopravvivenza e morte, eros e thanatos, come giustamente sostiene Freud, sono due dimensioni che si toccano perennemente: nella misura in cui la vita lotta per durare, essa lotta contro la morte; nella misura in cui si viene alla vita, essa è intersecata alla morte, poiché nascere significa essere destinati a perire. La tensione tra gli estremi della nascita e della fine, all’interno dei quali si gioca l’esistenza, costituiscono, di fatto, le sole certezze della condizione umana. Una condizione costretta a sopportare il peso dell’incertezza e di un orizzonte ignoto nel quale tutto converge.

La poesia, lamento funebre e canto sacro, ha quindi origine come interrogativo che tenta di approssimarsi al mistero della vita e della morte, attraverso immagini, miti, simbologie, suoni. Con l’evolversi del tempo, anche il linguaggio poetico ha subito trasformazioni e l’elemento del puro canto è stato affiancato da quello corale, per poi perdersi. Nella tragedia greca, difatti, il coro era il vero protagonista, incarnazione delle sorti collettive e del destino umano. I grandi poemi epici antichi, cantati con la cetra dall’aedo e dal rapsodo, erano il frutto di una narrazione che si trasmetteva oralmente e che racchiudeva l’intero patrimonio valoriale e mitico di un popolo. Ecco che nella poesia convogliano, sin dal principio, il suono, il canto, la memoria collettiva, tanto che essa diviene il mezzo attraverso cui determinare il passaggio di eredità da una generazione all’altra, secondo un’inevitabile funzione rituale.

Tragedia greca – Attori

Per comprendere ancora meglio cosa sia la poesia, occorre tuttavia partire dall’etimologia del termine poiein, verbo che, in greco, indica il fare, ma non nel senso di semplice esecuzione, bensì in quanto fare rituale, creare, generare, dunque, in quanto portare alla vita ciò che non possedeva vita. Il fare poetico, allora, si lega più che mai alla natura femminile, natura che dà la luce. Al pari di una madre, il poeta è colui che porta allo scoperto ciò che era nascosto. Difatti l’artista, nella misura in cui crea, non fa che conferire forma all’informe, dando una sembianza a ciò che, altrimenti, sarebbe rimasto immerso nell’abisso dell’assenza di specificità. L’individuo, del resto, altro non è che qualcosa che ha assunto una forma specifica e che si mostra come ente peculiare. La creazione insita nel poiein, è perciò un generare che nasce come atto sacro, nella misura in cui tutto ciò che concerne il venire al mondo è sacro, ovvero recintato entro un’aura quasi divina, che lo separa dalle mere cose. L’etimologia dell’atto poetico è pertanto connessa al pregare, all’evocare e chi ha compreso meglio questo legame profondo tra creazione e sacralità è stata, senz’altro, la tradizione orientale ortodossa, nella quale, ancora oggi, si conserva l’idea che l’autore di icone debba sottoposti ad un’intensa disciplina, che ha per obiettivo svuotare l’esecutore dagli attaccamenti dell’ego, per renderlo capace di recepire il divino, di farsi in-abitare dal divino.

E, tuttavia, la ricerca dell’oggettività, del distaccamento dall’egoismo del proprio punto di vista, cosparso d’interessi e condizionamenti, è presente anche nella scienza, che nasce proprio come aspirazione ad una dimensione universale e scevra di attaccamenti. La ricerca del vero diviene, per la scienza, ricerca di un punto di vista disincarnato, sciolto il più possibile dagli attaccamenti alla specificità di un punto di vista e, sebbene l’oggettività assoluta non sia raggiungibile poiché nasciamo incarnati in un esser-ci (il corpo), il metodo scientifico si origina come aspirazione alla neutralità.

Nel XVII secolo, grazie a Galileo Galilei, la scienza prende gradualmente forma e diviene un metodo ipotetico-deduttivo, nel quale sono centrali l’esperienza e il calcolo, mezzi attraverso cui approssimarsi all’aspirazione all’oggettività.

Galileo Galilei

La scienza diviene perciò una via di esplorazione della natura, che rivela, sorprendentemente, un’affinità tra le strutture mentali matematiche e l’ordine del mondo. Essa si sforza, altresì, di non toccare questioni etiche, nella convinzione galileiana che “la religione ci dice come andare in cielo, mentre la scienza ci spiega come funziona il cielo”. Tuttavia, ai nostri giorni, il progresso scientifico e tecnologico ha toccato livelli tali, che non possono non esservi implicazioni etiche e morali, basti pensare all’intelligenza artificiale, al digitale vivente o all’ingegneria genetica e alle questioni che tali discipline sollevano. La separazione tra la sfera etico-morale e quella conoscitiva, si assottiglia coll’andare dei secoli e questo implica una riconsiderazione della stessa pretesa di oggettività insita nel metodo scientifico. Tant’è che questo aspetto deve farci riflettere anche su un’altra questione: la vicinanza, sin dalle origini, tra il metodo scientifico e la poesia, entrambi nati dalla volontà di portare alla luce ciò che era nascosto. Difatti, così come il poeta si approssima all’anima e indaga il sentire più inammissibile dell’essere umano, toccandone le paure e i sogni, anche la scienza indaga la natura, tentando di portare allo scoperto aspetti sempre più complessi e svelandone le intime strutture. Le scienze del macro e del micro spalancano oggi orizzonti in cui concetti come “eternità” e “infinitoassumono connotati concreti. A ben guardare, quindi, la poesia e la scienza sono due forme d’indagine che, nonostante la differenza di linguaggi, cercando di rispondere alla medesima domanda: qual è lo scopo del nostro essere venuti al mondo?

In quest’ottica, l’elemento creativo-immaginativo e quello desiderante assumono un ruolo centrale sia nel poetare, che nell’indagine scientifica, nella misura in cui entrambi mettono in luce la volontà umana di comprendere e di comprendersi. Del resto, è proprio la percezione della nostra vulnerabilità e finitudine, che ci spinge a non rassegnarci e a sforzarci di conferire un senso al nostro essere qui. Il tema centrale divine, allora, la ricerca di senso: è a partire da esso che il poetare e la ricerca scientifica muovono e che entrambi costruiscono immagini del mondo, teorie, interpretazioni, che cercano di dare risposte all’enigma di fondo che è l’essenza della condizione umana. E se la scienza segue il criterio della coerenza e della dimostrazione per costruire le proprie immagini del mondo, la poesia segue invece il criterio estetico del piacere. La scienza razionalizza, la poesia conforta, la scienza sviscera, la poesia racconta, ma ciò che le accomuna è la ricerca del vero, ossia la ricerca di un senso che racchiuda il nostro esser-ci e il mondo.

Talvolta, tuttavia, la ricerca di un super-senso ha prodotto progetti di morte, come la recente storia del XX secolo ci ha dimostrato, svelandoci che nella razionalità inflessibile, e incapace di accettare l’errore e l’imprevisto, dimora un disegno autoritario e disumano. Dunque, uno dei pericoli insiti nel metodo scientifico è che esso possa perdere di vista la realtà corporea e viva, in nome della razionalizzazione, dell’oggettività, del progresso incessante e dell’utopia d’immortalità terrena che recenti correnti bramano. Viceversa, il rischio insito nella poesia è che essa divenga preda di un non-senso, che finisce col consegnare tutto e tutti ad un nichilismo disfattista e privo di contenuti, in cui ciascuno canta il proprio ego, demolendo il ruolo del linguaggio in quanto ponte tra individualità divergenti. Per superare un simile rischio, occorre allora che tanto la scienza, quanto la poesia, non perdano di vista la comune radice: il mondo vivo e senziente, il mondo carnale in cui tutti siamo immersi e nel quale tutti gli esseri che lo abitano sono in relazione. Questo aspetto implica la necessità che tanto la scienza, quanto i saperi umanistici, ripensino attualmente il loro statuto, riconsiderando la centralità di un presupposto innegabili: la presenza e l’esistenza dell’alterità, elemento da non rimuovere, ma da tutelare, in quanto unico autentico criterio di verità.

Solo riportando al centro della riflessione l’altro in carne e ossa, infatti, sapere scientifico e umanistico ritroveranno quel punto d’incontro che oggi è venuto a mancare. Un punto d’incontro che è assolutamente essenziale riscoprire, poiché, seppure con differenti mezzi, tutti i linguaggi altro non sono che vie per di comprensione di sé stessi e della condizione mortale, una condizione che ci accomuna e nella quale dimora la possibilità di aprirsi all’amore. Il poiein, in quanto spinta creativa generatrice di vita, è energia motrice sia del poetare, che della ricerca scientifica e ciò che esso indaga, mediante l’immaginazione e l’esperienza, altro non è che la condizione umana. Una condizione segnata dal dolore, a tratti dall’impotenza, ma anche dalla meraviglia dell’amare, del curare, del generare. La sacralità dell’essere umano, del resto, dimora proprio in questa forza innata che lo spinge a costruire, nonostante la fragilità che segna la vita su questa terra. È attraverso tale spinta che sorge il legame ed è di questa spinta che tanto la poesia, quanto la scienza, abbisognano, di modo che entrambe non dimentichino più che l’uomo e la vita sono il fine.

L’Autrice Lucrezia Lombardo

LETTURE:

  1. Martin Heidegger – Hozwegwe, trad.it., Sentieri interrotti – La Nuova Italia, 1979
  2. Martin Heidegger – Prolegomena die geschichte der Zeitbegriff, trad.it., Prolegomeni alla storia del concetto di tempo – Il Melangolo, 1999
  3. Martin Heidegger – Sein und Zeit, trad.it., Essere e tempo – Mondadori, 2066
  4. Max Horkheimer – Adorno T. W., Dialektik der Aufklarung, trad.it., Dialettica dell’illuminismo – Einaudi, 1997
  5. Edmund Husserl – Die Krisis der europaischen Wissenschaften und die transzendentale Phanomenologie, trad.it., La crisi delle scienze europee – Il Saggiatore, 1961
  6. Edmund Husserl – Ideen zu einer reinen Phanomenologie und phanomenologischen Philosophie, trad.it., Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica – vol. I, vol. II – Einaudi, 2002

Autore

Lucrezia Lombardo

Arezzo, 1987. Dopo la maturità classica si laurea in Scienze filosofiche a Firenze con il massimo dei voti. Lavora quindi come curatrice, autrice di testi d’arte contemporanea e come giornalista, specializzandosi con vari corsi di perfezionamento e con un master in gestione dei beni culturali. Attualmente l’autrice scrive per alcune riviste letterarie internazionali, insegna Storia e Filosofia presso un liceo e collabora con vari atenei privati come docente di Storia della filosofia contemporanea, oltre ad aver conseguito una specializzazione triennale come Counselor psicologico a indirizzo psicobiologico. Dal 2020 Lucrezia è co-direttrice e curatrice della galleria d’arte contemporanea “Ambigua” di Arezzo e si occupa di poesia da diversi anni, sia come autrice, che come redattrice (collabora infatti per la rivista letteraria italo-francese “La Bibliothèque Italienne” ed è responsabile del blog culturale del quotidiano ArezzoNotizie). Le sue raccolte poetiche: La Visita (Giulio Perrone 2017), La Nevicata (Castelvecchi 2017), Solitudine di esistenze (Giulio Perrone 2018), Paradosso della ricompensa (Eretica 2018), Apologia della sorte (Transeuropa 2019), In un metro quadro (Nulla Die 2020), Amor Mundi (Eretica 2021), con prefazione del poeta e regista Mauro Macario.

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Biografia

Lucrezia Lombardo

Arezzo, 1987. Dopo la maturità classica si laurea in Scienze filosofiche a Firenze con il massimo dei voti. Lavora quindi come curatrice, autrice di testi d’arte contemporanea e come giornalista, specializzandosi con vari corsi di perfezionamento e con un master in gestione dei beni culturali. Attualmente l’autrice scrive per alcune riviste letterarie internazionali, insegna Storia e Filosofia presso un liceo e collabora con vari atenei privati come docente di Storia della filosofia contemporanea, oltre ad aver conseguito una specializzazione triennale come Counselor psicologico a indirizzo psicobiologico. Dal 2020 Lucrezia è co-direttrice e curatrice della galleria d’arte contemporanea “Ambigua” di Arezzo e si occupa di poesia da diversi anni, sia come autrice, che come redattrice (collabora infatti per la rivista letteraria italo-francese “La Bibliothèque Italienne” ed è responsabile del blog culturale del quotidiano ArezzoNotizie). Le sue raccolte poetiche: La Visita (Giulio Perrone 2017), La Nevicata (Castelvecchi 2017), Solitudine di esistenze (Giulio Perrone 2018), Paradosso della ricompensa (Eretica 2018), Apologia della sorte (Transeuropa 2019), In un metro quadro (Nulla Die 2020), Amor Mundi (Eretica 2021), con prefazione del poeta e regista Mauro Macario.

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