Intelligenza Artificiale e istruzione

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Intelligenza Artificiale e istruzione
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Redazione

L’intelligenza Artificiale può aiutare gli alunni ad apprendere con più facilità e gli insegnanti a trasmettere questa importantissima arte in modo più efficace? Cecilia Marchi attraverso le sue specifiche competenze ci illustra potenzialità e limiti delle nuove tecnologie rispetto al cruciale compito della scuola di trasferire sapere, non tralasciando di indicare al lettore esempi concreti di applicazioni esistenti.

Negli anni in cui facevo l’università abitavo con diverse altre ragazze e, quando studiavamo, c’era sempre qualcuna, tipicamente facoltà di medicina o affini, che doveva “sbobinare”, ovvero trascrivere a mano ore e ore di registrazione delle lezioni, per non perdersi nemmeno una parola. L’ho sempre trovato un compito terribilmente ingrato, ma meno di una decina di anni fa – sembra passata un’eternità tecnologicamente parlando – non c’erano strumenti open source che generassero la trascrizione di un audio, come invece si può fare facilmente aprendo una finestra sul browser oggi.
Non so per quale motivo mi torni in mente proprio questo aneddoto a proposito del tema di cui tratterò, però è sicuramente un buon esempio di come la tecnologia stia correndo più veloce che mai, offrendo all’essere umano supporti inimmaginabili, che spesso non sappiamo sfruttare al meglio.

tecnologia e mondo della scuola

Un ambito in cui si può senza dubbio fare di più e che mi sta particolarmente a cuore è quello dell’istruzione. L’istruzione è fondamentale: garantisce libertà all’individuo ed è un investimento dal ritorno certo e copioso per la società, sotto vari aspetti.
Tuttavia, come vedremo, presenta alcune sfide specifiche che non è banale affrontare.

La tecnologia è già presente nel mondo della scuola, in varie forme, e il suo impiego ha avuto una significativa accelerazione nell’ultimo anno. Era già usata in caso di Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) o altri Bisogni Educativi Speciali (BES), situazioni in cui tutte le strade convenzionali risultano più ostiche. Ma il suo utilizzo più generalizzato sta iniziando a rivelarsi sempre più conveniente, se non vantaggioso, come discusso in modo più esteso qua (https://www.anastasis.it/disturbi-specifici-apprendimento/tecnologia-apprendimento-imparare/).

Le tecnologie a cui mi sono appena riferita, però, raramente si basano sulla IA. Vedremo adesso una carrellata di software, invece, che utilizzano la IA e che richiamano il mondo dell’istruzione, pur senza appartenergli del tutto.

IA E MONDO DELLA SCUOLA

TEXT-TO-SPEECH o speech-to-text

Un esempio quasi scontato, ma credo ancora poco sfruttato è quello dei sistemi di text-to-speech e speech-to-text, che funzionano ormai molto bene anche in italiano. Ci sono infiniti modi semplici e gratuiti in cui si può accedere a servizi che leggano a voce alta un testo scritto o che trascrivano un testo partendo da un audio. Esistono addirittura servizi che descrivo in automatico il contenuto di immagini.
Oggi quasi non ce ne accorgiamo, ma, come ho già detto, già meno di dieci anni fa nessuno strumento del genere era così facilmente accessibile.

Assistenza alla scrittura

Meno diffusi in lingua italiana, ma già molto raffinati in lingua inglese, sono gli strumenti che assistono la scrittura, non solo con il controllo ortografico, ma suggerendo sinonimi, analizzando la costruzione del testo e fornendo suggerimenti di correzione. Mi dispiace di non poter portare un esempio italiano di questo genere di strumenti, ma non ne ho trovati di open source ben funzionanti. Un esempio in inglese invece è il conosciutissimo Grammarly (https://www.grammarly.com), che ha alcune funzioni gratuite ed altre più avanzate a pagamento. Ricordo di aver visto allo stato embrionale un programma del genere in Italiano presso il laboratorio in cui ho fatto la mia tesi di laurea.
Purtroppo sono strumenti molto complessi da realizzare, poiché devono risolvere problemi linguisticamente molto sottili. Richiedono lo svolgimento di compiti come la Part Of Speech tagging (una via di mezzo tra la nostra analisi grammaticale e logica), la lemmatizzazione (trovare il lemma di una forma flessa), la Word Sense Disambiguation (dedurre dal contesto a quale dei vari significati di un termine ci si riferisce), la Named Entity Recognition (individuazione e classificazione di entità particolari, come nomi propri, nomi di paesi, date, eventi, ecc.).

riassuntori di testo

Esistono anche software che permettono di riassumere un testo in automatico. Non è detto che debbano essere language specific e ne esistono sia di molto semplici che di raffinatissimi.
Text Compactor (https://www.textcompactor.com), ad esempio, utilizza una tecnica abbastanza rudimentale, che si chiama TF-IDF (Term Frequency – Inverse Document Frequency) che si basa sulla frequenza delle parole nelle frasi e non gli interessa la lingua del testo, ma può essere comunque efficace per una persona che si dovesse trovare in difficoltà a leggere un testo molto lungo. Chiaramente, più il sistema è raffinato, più sarà difficile da realizzare e più conterà avere informazioni sulla lingua di cui ci si sta occupando.
Simili a questi sono gli strumenti che possono realizzare in automatico mappe concettuali a partire da testi. Il concetto è il medesimo, cambia soltanto la forma dell’output.

assistenti matematici

Passando invece alla matematica, un interessante strumento online è Cymath (https://www.cymath.com), che mostra come svolgere problemi matematici: inserendo un’operazione o un’equazione è in grado di mostrarne lo svolgimento, anche in più modi, fino ad arrivare alla soluzione. Si può partire da operazioni molto semplici, come una moltiplicazione da vedere svolta in colonna, allo studio di funzioni, derivate, integrali, sistemi di equazioni, e così via. Naturalmente qualunque computer è in grado di svolgere questo genere di problemi. Quello che Cymath e altri software simili sono in grado di fare in più, combinando intelligenza artificiale ed euristiche, è mostrare la soluzione di questi problemi passaggio per passaggio, come farebbe un insegnante.

limiti nell’applicazione all’istruzione

Tutti questi esempi sono indubbiamente molto interessanti, ma, come è chiaro, non tutti sono pensati per l’istruzione, specie dei più piccoli. Non sono certo su misura per la persona, e offrono poco controllo all’utente o a chi dovesse eventualmente guidare l’utente.

Le ragioni per cui degli strumenti specifici basati sull’IA non sono facilmente reperibili risiedono probabilmente nelle caratteristiche che tali strumenti dovrebbero avere per adattarsi al mondo dell’istruzione. Caratteristiche che possono rendere l’istruzione poco adatta all’approccio della IA.

Nei precedenti articoli ho provato a offrire una panoramica sui meccanismi che si nascondono dietro alle intelligenze artificiali da cui siamo circondati oggi. Riassumendo, si può dire che le IA di cui disponiamo attualmente possono diventare estremamente brave, talvolta anche più degli umani, in compiti piuttosto specifici. Questo, però, a patto di avere grandi quantità di dati, a patto che tali dati siano stati preparati appositamente, e che il modello scelto sia ben calibrato rispetto al problema, nonché ai dati disponibili.

addestrare un modello di ia

A questo punto, vorrei evidenziare alcuni aspetti che devono essere presi in considerazione ogni volta che si addestra o utilizza un modello e che in questo ambito sono ancora più importanti che non per un caso standard.
Abbiamo detto che le IA sono brave a svolgere compiti specifici: quanto possono o devono essere specifici questi compiti, e come si può avere il controllo di questo aspetto del modello? E poi, quanti dati devo avere a disposizione e come questo influisce sulle opportunità di modellizzazione del problema?

Per quanto riguarda la prima questione, cioè quanto specifico o generico debba essere il problema che la IA deve risolvere, è opportuno prendere una decisione in base ai dati che si hanno a disposizione.
In generale, è desiderabile avere dei dati che siano il più possibile simili al caso d’uso.
Detto ciò, più si vuole generalizzare, più è necessario che i dati che utilizziamo per addestrare il modello siano generici, e più, tuttavia, è necessario averne una grande quantità.
Meno dati si hanno a disposizione, invece, più devono essere specifici sia i dati che si utilizzano, sia la domanda a cui il modello vuole rispondere.

Per rendere questo concetto un po’ più chiaro porterò un esempio dall’ambito del natural language processing.
Ammettiamo che io voglia addestrare un modello che sia molto bravo a riconoscere o trascrivere della terminologia medica estremamente specifica. Si tratta di parole che verosimilmente non troverò in un romanzo, in una conversazione generica tra due persone, in un quotidiano, in un talk show, probabilmente neanche in un medical drama. Nell’addestrare il mio modello, quindi, le fonti che ho appena elencato si riveleranno probabilmente inadatte: le occorrenze delle parole che mi interessano, per qualunque compito io voglia svolgere, semantico o lessicale che sia, saranno troppo scarse.
Se invece mi interessasse avere un modello che riuscisse a trascrivere quello che dico in modo abbastanza accurato, di qualunque cosa io stia parlando, allora mi saranno utili i dati di cui sopra. Sicuramente sarebbe un modello impreciso, nel caso in cui gli fosse richiesto di scrivere della terminologia estremamente specifica, ma non sarebbe questo il suo scopo e dunque si tratterebbe di imprecisioni accettabili.

Vengo alla seconda questione: come influisce la quantità di dati che ho a disposizione sulle possibilità di modellizzazione che ho?
La complessità di un modello, ovvero la complessità che esso è in grado di rappresentare, per ragioni matematiche è proporzionale alla quantità di dati che si hanno a disposizione per addestrarlo.
Farò qualche esempio molto intuitivo per essere più chiara. Se io volessi realizzare il modello di cui parlavamo sopra, in grado di trascrivere quello che viene detto da una persona generica, non posso aspettarmi che sia sufficiente una registrazione di qualche minuto della voce di una sola persona: tanto per cominciare non ci sarebbe una varietà di suoni e vocabolario ampia a sufficienza. Poi il modello non sarebbe in grado di generalizzare sulla voce, la pronuncia, la prosodia, l’apertura delle vocali, i difetti di pronuncia, il dialetto di una qualunque altra persona. Con qualche decina di minuti di registrazione della voce di una sola persona, a patto di avere detto le cose giuste (es. ripetendo per un po’ di volte un bacino di una decina di parole), forse sarebbe possibile addestrare un modello che sa riconoscere quelle parole con una precisione accettabile, purché dette da quella stessa persona. Sicuramente non lo si può fare utilizzando un modello molto complesso come è una rete neurale, bisogna ricorrere a qualcosa di più semplice.

Un’ia per l’istruzione

Alla luce di tutto ciò, torniamo all’istruzione e alle sue caratteristiche.
Delle IA specifiche per l’istruzione dovrebbero:
  1. essere language specific, cioè cambiare a seconda della lingua dell’utente e quindi nel nostro caso basarsi su dati in lingua italiana, qualora ci fosse del linguaggio tra le cose che l’IA deve saper fare. La lingua inglese consente spesso di avere una maggiore quantità di dati disponibili, mentre l’italiano, nella mia esperienza almeno, non è mai un punto di partenza vantaggioso. Tra l’altro, anche nel caso in cui non ci fosse nessun accenno alla lingua italiana, ci sono comunque delle convenzioni culturali che dipendono molto dal paese o addirittura dalla zona del paese. Penso ad esempio ai metodi per imparare a fare i calcoli in colonna, o ad altre tecniche per apprendere procedure particolari
  2. riferirsi ad una specifica fascia di età: per quanto riguarda i bambini, specie quelli più piccoli, 6 mesi di differenza sono sufficienti a far definire categorie ben distinte. Questo implicherebbe avere un modello diverso almeno per ciascun anno scolastico, se non di più, qualunque cosa si voglia far fare alla IA
  3. se vogliamo occuparci in particolare di disturbi dell’apprendimento, o qualunque tipo di bisogno educativo speciale, come nella casistica con cui inizio ad essere familiare per lavoro, le cose si fanno ancora più specifiche: a seconda di ogni problema o variazione sul problema occorre trovare una soluzione quasi personalizzata. Sono spesso proprio gli specialisti a chiedere molto controllo nella parametrizzazione, che sentono la necessità di modificare e raffinare a seconda del caso

C’è sicuramente molto altro da prendere in considerazione, non ultima la questione privacy e dati, ma già questi aspetti lasciano intuire quanto poco l’istruzione per sua natura si presti all’approccio dell’intelligenza artificiale.
L’essere language specific implica che si debba ricorrere a corpora di dati in italiano, e, se non se ne possiede uno, bisogna ricorrere a quelli esistenti ed adattarli alle proprie esigenze. Come dicevo prima, però, sarebbe ideale avere dei dati molto simili al caso d’uso, altrimenti si perde di precisione.
Avere la necessità di suddividere i dati per fasce d’età così piccole o addirittura avere una differenza di approccio quasi su misura non consente di avere quantità di dati tali da poter utilizzare modelli troppo complessi, e quindi far svolgere alla IA compiti più elaborati.

Se ne deduce anche che l’intelligenza artificiale applicata all’istruzione è un ambito di nicchia, che presenta sfide particolarmente complicate e, di conseguenza, forse, meno redditizio per le grandi aziende che pure avrebbero una vastissima disponibilità di dati.

potenzialità e applicazioni nella scuola

È fuori di dubbio che software simili a quelli di cui ho parlato, con o senza IA, non possono sostituire un insegnante o la fatica dello studio, ma credo che possano e debbano essere utilizzati come supporto all’istruzione con immensi benefici.
Se uno studente fatica a comprendere un testo troppo complesso, per qualsivoglia ragione, perché non permettergli di poterne avere un riassunto o la mappa, per poi lavorare sui dettagli? E se ha difficoltà a leggere un testo scritto, perché non permettergli di ascoltarlo? Se avesse bisogno di rivedere la procedura per svolgere un’equazione, perché non sfruttare un software che può mostrargliela per ogni caso possibile anche a casa, in assenza dell’insegnante? Perché non sperimentare a casa con la scrittura e scoprire dove si può semplificare un testo che si è scritto, o imparare qualche sinonimo provvidenzialmente suggerito dal correttore?

Va da sé che ciò richiede un cambio di approccio per l’insegnante, che deve formarsi, conoscere gli strumenti e saper avere la creatività di sfruttarli e permettere agli studenti di trarne vantaggio. Se, infatti, questi software non sono personalizzati, sta proprio all’insegnante intuirne le potenzialità renderli a misura della persona che si trova davanti.
I metodi tradizionali hanno un valore indiscutibile, ma talvolta sono rigidi e possono non venire incontro alle peculiarità di ciascuno studente, finendo per rendere l’esperienza frustrante.
Gli studenti, a loro volta, dovrebbero essere (resi) più consapevoli della tecnologia che hanno a disposizione e saperne usufruire non come scorciatoia, che poi non paga, ma come vera risorsa per sentirsi gratificati dall’istruzione.
Per avere, insomma, quella sensazione di libertà e di “poter fare” di quando si ha in mano lo strumento giusto per raggiungere l’obiettivo che si vuole perseguire.

Autore

Cecilia Marchi

Arezzo, 1992. Diplomata al Liceo Classico Petrarca di
Arezzo, laurea triennale e magistrale in Ingegneria Informatica al
Politecnico di Milano. Si occupa di data science e linguaggio e di
sviluppo software per l’apprendimento, la didattica inclusiva e la
riabilitazione per DSA e BES.

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Biografia

Cecilia Marchi

Arezzo, 1992. Diplomata al Liceo Classico Petrarca di
Arezzo, laurea triennale e magistrale in Ingegneria Informatica al
Politecnico di Milano. Si occupa di data science e linguaggio e di
sviluppo software per l’apprendimento, la didattica inclusiva e la
riabilitazione per DSA e BES.

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