Omeostasi e illuminazione: il problema filosofico dell’ipermollezza del formaggio

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Omeostasi e illuminazione: il problema filosofico dell’ipermollezza del formaggio
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redazione

Un legame divertente e reale fra l’espressione artistica e la fisiologia umana. Carlo Martini affronta, con acume e dovizia di particolari scientifici, un’opera famosissima di Salvador Dalì alla luce di questo evidente e inscindibile rapporto fra creatività e neurobiologia, fra mente e corpo.
Port Lligat 1931. Salvador Dalì ha invitato a cena degli amici. L’ultima portata che conclude il pasto conviviale è un formaggio camembert, molto forte. La serata si conclude con la visione di un film al cinema, ma al pittore è sopraggiunto un leggero mal di testa ed un senso di spossatezza. Insiste perché la moglie Gala esca ugualmente con gli amici, lui è deciso ad andare subito a letto. Prima di farlo si siede a lungo a tavola a meditare sul “problema filosofico dell’ipermollezza posto da quel formaggio”. Prima di coricarsi come si era ripromesso, si reca all’atelier e getta uno sguardo al quadro che aveva iniziato. In alto ha dipinto una veduta di Port Lligat al sorgere del sole ed in primo piano uno spoglio ulivo dai rami tronchi. Questo abbozzo è lo sfondo già pronto in attesa di un’idea. Poi, improvvisamente accade l’inatteso: “Stavo già per spegnere la luce, quando d’un tratto, vidi la soluzione. Vidi due orologi molli uno dei quali pendeva miserevolmente dal ramo dell’ulivo”. Ora il mal di testa è particolarmente intenso, ma nonostante il tormento l’opera deve essere creata. Prepara “febbrilmente” la tavolozza dei colori e nell’arco di tempo necessario alla visione del film, due ore circa, una delle opere più celebri di Dalì si presenta completata alla visione di Gala che torna a casa.

Questo episodio, tratto dall’autobiografia “La mia vita segreta”1 del pittore catalano, oltre ad essere una testimonianza vivida e gustosa della nascita di una delle opere più celebri dell’arte contemporanea, è fonte proficua di domande per chi si accosta all’atto creativo con lo stupore, la curiosità e l’attenzione proprie di chi ha la consapevolezza che questo è uno dei fenomeni in cui la natura umana emerge nella sua dimensione più nobile. Per questo, prima di affrontare qualsiasi analisi di tipo riduzionistico dell’atto creativo, corre l’obbligo di tenere presente la complessità dell’argomento e fare tesoro dell’avvertenza della sociologa Annamaria Testa, la quale afferma che considerare la creatività come causa ed effetto di un qualcosa, equivale a ridurre il suo valore2.

l’atto creativo in quattro fasi

Poste dunque nella faretra della nostra analisi le frecce della prudenza e della cautela, possiamo provare a muovere i primi passi della nostra indagine partendo dalla sintesi proposta nel 1926 dal teorico britannico Graham Wallas nella sua opera The art of Thought. Wallas presenta l’atto creativo come un processo composto di 4 fasi nelle quali si alternano pensiero logico ed analogico3.

La prima fase è quella della preparazione; l’individuo attraverso l’uso della logica raccoglie tutte le informazioni necessarie a sviluppare l’idea.

Il secondo momento è rappresentato dall’incubazione. E’ una fase di elaborazione dei dati raccolti nella fase precedente, prevede l’utilizzo del pensiero analogico e l’esecuzione di processi inconsci che possono durare un tempo variabile da individuo a individuo.

La terza fase è quella più importante: l’illuminazione o insight. In questo momento l’elaborazione delle informazioni interiorizzate si manifesta e l’individuo porta alla luce il prodotto della nuova sintesi operata.

La quarta ed ultima fase del processo creativo è la verifica della nuova idea partorita. L’individuo utilizzando nuovamente il pensiero logico formalizza l’oggetto dell’intuizione.

le quattro fasi nel racconto di dalì

Appoggiandoci a questa utile suddivisione del processo proviamo a ripercorrere la sequenza descritta da Dalì nel racconto della genesi de “La persistenza della memoria”: inizialmente avverte un malessere caratterizzato da mal di testa e spossatezza che lo pone in uno stato di disagio tale da non sentirsi nella disposizione giusta per proseguire la piacevole serata al cinema. In questo primo momento è possibile riconoscere la fase della preparazione a cui fa riferimento Wallas.

Dalì si siede e la sua riflessione si concentra sulla mollezza del formaggio ancora posto sulla tavola. Anche se non viene esplicitamente dichiarato dal pittore spagnolo, sembra plausibile, tanto da risultare superfluo nel racconto, che la sua attenzione si rivolga al “camembert molto forte” proprio perché è la causa diretta del suo malessere. In tal senso è possibile ipotizzare che ciò che abbia disturbato Dalì sia stato il sapore, che ha provocato un rallentamento della digestione con conseguente sensazione di disgusto, o l’odore che indifferentemente ha scatenato una sensazione di nausea. L’uno e l’altro caso sono comunque compatibili con il mal di testa e la spossatezza riferiti ed è altamente probabile che la riflessione filosofica sull’ “ipermollezza” del formaggio scaturisca proprio dal senso di repulsione che prova in quel momento alla vista della fonte del suo malessere. D’altro canto la necessità di accentuare la caratteristica molle del formaggio con il prefisso “iper” è emblematica, oltre che del suo stile iperbolico, della sua avversione momentanea a tale qualità, così come il bisogno di specificare il suo gusto o odore attraverso la locuzione “molto forte”. E’ questa la fase dell’incubazione, fase in cui, fa notare Wallas, prende il sopravvento il pensiero analogico, ed in cui evidentemente il pittore, ancora inconsapevolmente crea il paragone tra la mollezza del formaggio e quella del tempo.

Dalì si sposta nell’atelier e, di fronte alla tela incompleta concepisce l’dea. Parla della sua esperienza come di un accesso cosciente fulmineo e spontaneo, privo di sforzo cognitivo, inatteso ed incontrollato: “Stavo già per spegnere la luce, quando d’un tratto, vidi la soluzione”. Voilà la terza fase.

Dopo la visione, nasce un impulso che Dalì definisce “febbrile” alla formalizzazione dell’idea nella raffigurazione concreta dell’opera pittorica. L’urgenza è tale che supera il dolore fisico: “nonostante il mal di testa fosse ora tanto intenso da tormentarmi” sente di precisare l’autore a distanza di anni dall’accaduto, “terminai il lavoro”. Ecco qui l’emergere della quarta ed ultima fase.

dentro dalì

Alla luce di quanto appena detto, forse contagiato dallo spirito surrealista che spinge a confronti arditi ed accostamenti inconsueti, propongo di guardare all’accaduto attingendo alle conoscenze sui processi biochimici e neurobiologici che si sono accumulate negli anni, sperando tuttavia di suggerire soluzioni che non lascino coloro i quali avranno la costanza di arrivare alla fine di questo lavoro, disorientati come davanti ad una performance dell’eccentrico artista catalano protagonista di quest’analisi, ma piuttosto come chi guarda un affresco del mio amato Piero della Francesca.

Mi chiedo cosa sia accaduto nell’organismo, nel corpo e nel cervello di Dalì in quelle due ore; è possibile intravedere indizi che ci possono permettere di abbozzare un’ipotesi di correlazione fra il suo stato fisico e la successiva folgorazione creativa? E’ possibile gettare un ponte fra biologia ed arte? Proviamoci, muniti della prudenza premessa all’inizio.

dallo stomaco al cervello

Dopo aver mangiato una porzione di formaggio i processi digestivi di Dalì si attivano, ma dopo qualche tempo la fisiologia gastrica entra in difficoltà. Chi raccoglie nell’organismo le informazioni viscerali? Esiste un nervo che si estende per tutto il corpo e per così dire “si fa gli affari” di pressoché tutti gli organi; per la sua distribuzione è stato chiamato “il vagabondo”, in latino “vago”. Questo nervo è composto per l’80% da fibre che dalla periferia arrivano al cervello informandolo costantemente della condizione omeostatica dei vari organi. Il restante 20% è costituito da fibre che raccolgono la risposta che il cervello ha elaborato e la comunicano agli organi per rispondere adeguatamente alle informazioni inviate precedentemente. Ebbene, le fibre vagali raccolgono i segnali meccanici e biochimici dallo stomaco del pittore e, facendo tappe intermedie, tra le quali la prima è a livello del tronco encefalico in un nucleo che prende il nome di tratto solitario, porta quest’informazione all’amigdala e alla corteccia sensoriale. Ora Dalì comincia ad avvertire che qualcosa non va. E’ questa sicuramente un’analisi semplificata dell’evento, ci saranno molti altri elementi in gioco, anche non fisiologici, ma credo che questo primo momento, così come emerge dall’autobiografia di Dalì, sia parte importante di quella che Wallas definisce la fase di preparazione, quella della raccolta delle informazioni; in questo caso penso che si possa affermare che l’origine dell’opera stia in un’omeostasi alterata. L’omeostasi, ossia il continuo processo che l’organismo compie per mantenere in equilibrio i propri meccanismi, è un elemento molto importante per la nostra esistenza. L’eminente neurobiologo Antonio Damasio la pone addirittura a fondamento iniziale della nostra coscienza4,5. Da quest’informazione parte un’analisi ed una valutazione della propria situazione, è più saggio stare a casa ed andare a letto.

l’amigdala e l’elaborazione inconscia

Il malessere continua, compare mal di testa e spossatezza. Ma prima che l’informazione fosse stata resa disponibile alla coscienza, come abbiamo visto, aveva attivato un nucleo sottocorticale molto importante e conosciuto anche a chi non si è mai avvicinato alle neuroscienze: l’amigdala, un nucleo così chiamato per la sua forma a mandorla. (Per i dettagli sui meccanismi neurobiologici che propongo si siano attivati nel sistema nervoso centrale del nostro protagonista invito il lettore curioso a leggere l’approfondimento a piè di pagina)

Cosa è successo dunque al nostro Salvador Dalì dopo che il nervo vago gli ha segnalato che c’era qualche problema a livello dello stomaco? Possiamo ragionevolmente ipotizzare che si sia attivata inconsciamente l’amigdala, il suo cervello si sia allertato, abbia elaborato sempre inconsciamente le informazioni, ed abbia collocato spazialmente e temporalmente l’evento, abbia confrontato con episodi di vita precedenti l’accaduto, ed abbia stimato la durata dell’evento ed il suo potenziale di rischio, pronto a mettere in atto la migliore risposta possibile a tale minaccia. Tutto questo è avvenuto fuori dalla sua consapevolezza.

l’area prefrontale e l’elaborazione conscia

L’attivazione dell’area sensoriale e di quella prefrontale (vedi l’approfondimento sottostante) hanno però anche portato alla sua coscienza il problema. I suoi processi cognitivi si sono messi in moto, e come abbiamo visto, questo ha permesso di sviluppare l’iniziale strategia comportamentale di restare a casa per andare a coricarsi.

Ora però è necessario concentrarsi sull’attivazione dell’area corticale mesiale. Questa è la sede del senso del sé e si attiva in caso di pensieri, giudizi e memorie che riguardano sé stessi. Damasio ha chiamato il prodotto psicologico dell’attivazione di questa area “the core self”. Quindi possiamo dedurre che tutti i processi inconsci prima descritti abbiano predisposto questa parte del cervello all’attività cognitiva, ed ecco che si è seduto a tavola, ha collegato il senso di malessere al formaggio ed ha meditato a lungo sul “problema filosofico dell’ipermollezza posto da quel formaggio”. Qui si manifesta la peculiarità dell’artista!

il rimuginio predispone alla creatività

In un articolo del 2015 Adam Perkins6, esperto di studi sulla personalità, ha messo in evidenza come un incremento di attività spontanea dell’area prefrontale mesiale, caratterista tipica di chi soffre di disturbi d’ansia e che determina quindi una continua all’erta anche quando non ci sarebbe bisogno, è comune a persone altamente creative, ed è il motore del rimuginio mentale che sta alla base dell’accesso creativo. Ebbene, questo potrebbe essere successo a Dalì, il quale, durante il suo filosofeggiare sul formaggio, si è forse reso conto di quanto quel malessere lo abbia proiettato in una dimensione temporale deformata e di quanto il senso del tempo sia una dimensione soggettiva. Fa notare Arnaldo Beni nel libro inserito nei suggerimenti di lettura posti a fine articolo, che “a differenza del tempo registrato dagli orologi, alla fenomenologia del tempo contribuiscono in modo determinante le aree cerebrali delle emozioni. […] il tempo soggettivo è personale, è un sistema aperto; […] le emozioni possono allungarlo o accorciarlo […] Suoni sgradevoli lo allungano. […] I 45 secondi durante i quali 35 persone con aracnofobia guardavano alcuni ragni chiusi in una bottiglia erano percepiti come se fossero stati da 51 a 60”.

Ed è ipotizzabile che in questa seconda lunga fase di incubazione abbia introiettato l’analogia fra la mollezza del formaggio e la plasticità del tempo soggettivo, fino poi ad averla improvvisamente disponibile alla coscienza nella fase dell’insight. Quindi, probabilmente, dobbiamo ringraziare un formaggio, che alterando l’omeostasi del pittore ha predisposto il suo cervello alla speculazione e lo ha illuminato, regalandoci una delle opere più evocative che si ricordino!

Probabilmente queste righe sono il frutto di una attivazione incontrollata dell’area prefrontale mesiale del mio cervello, ciò nonostante mi auguro che il percorso delineato sia meno surreale dell’opera analizzata.


Dettaglio neurobiologico

Come mette ben in evidenza Joseph LeDoux nel suo libro “Ansia”7, l’amigdala è un crocevia fondamentale per l’integrazione di informazioni che avvertono il cervello della presenza di potenziali situazioni minacciose. L’attivazione dell’amigdala, attraverso la coordinazione di sue sottocomponenti, trasmette l’informazione a molte zone del cervello. La minaccia, rappresentata da una sostanza potenzialmente tossica per l’organismo, nel caso in esame un formaggio, sta modificando la fisiologia cerebrale. La parte centrale dell’amigdala trasmettendo l’informazione d’allerta a neuroni che fanno parte della rete dell’eccitamento, fanno sì che il cervello aumenti il livello di attenzione, vigilanza e sensibilità agli input che segnalano minaccia, attraverso il rilascio di neurotrasmettitori eccitatori come noradrenalina, serotonina, dopamina acetilcolina e orexina. Contemporaneamente l’amigdala permette l’elaborazione inconscia dell’informazione minacciosa attivando aree della corteccia di ordine superiore che permettono la sua contestualizzazione: si attiva l’ippocampo e le aree corticali circostanti. L’ippocampo è noto per il suo ruolo nella memoria, ma è anche associato all’elaborazione relazionale di un evento, comprese le relazioni spaziali e temporali. L’attivazione di questa area permette quindi di crearsi una mappa cerebrale in cui si colloca la minaccia in un determinato spazio ed in un determinato tempo, oltre a confrontare l’evento così caratterizzato con altri simili accaduti prima, pescando dalla memoria. Non solo, come osserva Arnaldo Benini in “Neurobiologia del tempo”8, al senso del tempo concorrono, insieme all’ippocampo, parte della corteccia prefrontale e parietale, i gangli della base e il cervelletto. La corteccia parietale sinistra, attingendo dalla memoria, genera l’attesa e la previsione della durata dell’evento, mentre la corteccia prefrontale destra verifica se il tempo che sta passando coincide con quello previsto.

Non è finita qui, l’amigdala attiva anche la corteccia prefrontale, la parte del cervello che si trova proprio dietro la fronte. In particolare l’attivazione della regione ventromesiale, quella che per intendersi è visibile solo se si discostano i due emisferi cerebrali l’uno dall’altro, gioca un ruolo chiave nell’elaborazione e nella regolazione dell’intensità della risposta difensiva da parte dell’amigdala, valutando caso per caso. La corteccia prefrontale ventromesiale, qualora sia opportuno, funziona come un freno alle risposte difensive determinate dall’amigdala.

LEtture

  1. La mia vita segreta, Salvador Dalì
  2. Testa A., La creatività a più voci, Roma-Bari, Laterza, 2005, p. 12
  3. Cinque M., Agire Creativo. Teoria Formazione e prassi dell’innovazione personale, Milano, Franco Angeli, 2010, p. 158
  4. Antonio Damasio, L’errore di cartesio, Ed. Adelphi
  5. Antonio Damasio, Il sé viene alla mente, Ed. Adelphi
  6. AM Perkins. Trends Cogn Sci. 2015 Sep;19(9):492-8
  7. Joseph LeDoux, Ansia, Raffaello Cortina Editore
  8. Arnaldo Benini, Neurobiologia del tempo, Raffaello Cortina Editore

Autore

Carlo Martini

Arezzo, 1978. Appassionato di scienze cognitive e di arte.
Si è diplomato al Liceo Scientifico Francesco Redi di Arezzo nel 1997
Si è laureato in Farmacia presso l’Università degli Studi di Perugia
nel 2006 con una tesi sperimentale in chimica farmaceutica
Lavora in una farmacia di Arezzo occupandosi al suo interno anche di medicina integrata

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Di Carlo Martini

Biografia

Carlo Martini

Arezzo, 1978. Appassionato di scienze cognitive e di arte.
Si è diplomato al Liceo Scientifico Francesco Redi di Arezzo nel 1997
Si è laureato in Farmacia presso l’Università degli Studi di Perugia
nel 2006 con una tesi sperimentale in chimica farmaceutica
Lavora in una farmacia di Arezzo occupandosi al suo interno anche di medicina integrata

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